Approfondimento

Aumentano paure e timori di non essere in grado di riconoscere disinformazione e fake news. Il 76,5% degli italiani ritiene che le fake news siano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte. Ma il 29,7% nega l’esistenza delle bufale e pensa che non si debba parlare di fake news, ma di notizie vere che vengono deliberatamente censurate e poi fatte passare come false. Si legge nel terzo Rapporto Ital Communications-Censis “Disinformazione e fake news in Italia. Il sistema dell’informazione alla prova dell’Intelligenza Artificiale”. Tra i negazionisti delle fake news – aggiunge il rapporto – ci sono in particolare i più anziani (35,8% tra gli over sessantaquattrenni), e chi ha un basso livello di scolarizzazione (il 40,4% di chi ha al massimo la licenza media è d’accordo). Comunque l’ 89,5% degli italiani pensa che sia necessario creare un’alleanza stabile tra tutti gli stakeholder che hanno interesse a far circolare un’informazione attendibile e di qualità, per diffondere una maggiore consapevolezza sui pericoli della cattiva informazione e innalzare le competenze della popolazione. Per il 34,7% c’è troppo allarme sul riscaldamento globale, il 16,2% nega che esista: il riscaldamento globale è un argomento di cui si parla tanto e in modo confuso, alimentando cattiva informazione, catastrofismo e persino negazionismo. Il 34,7% degli italiani è convinto che ci sia un allarmismo eccessivo sul cambiamento climatico e il 25,5% ritiene che l’alluvione di quest’anno sia la risposta più efficace a chi sostiene che si sta progressivamente andando verso la desertificazione. I negazionisti, che sono convinti che il cambiamento climatico non esista, sono il 16,2% della popolazione. Percentuale che sale al 18,3% tra i più anziani e al 18,2% tra i meno scolarizzati. Per quasi tutti almeno una fonte informativa, l’83,5% ricorre anche al web. Oggi circa 47 milioni di italiani, il 93,3% del totale, si informa abitualmente (con una frequenza come minimo settimanale) almeno su una delle fonti disponibili: l’83,5% usa anche il web e il 74,1% media tradizionali. Sul versante opposto, sono circa 3 milioni e 300mila (il 6,7% del totale) gli individui che hanno rinunciato ad avere un’informazione puntuale su ciò che accade, mentre 700mila italiani non si informano affatto. Dalla ricerca emerge come sia cresciuta la consapevolezza degli effetti devastanti della disinformazione, che può essere arginata da professionisti della comunicazione accreditati come fonti autorevoli e garanti dell’affidabilità e della qualità delle notizie. Di fronte alle insidie che possono venire dal web e dall’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, per distinguere la buona dalla cattiva informazione servono competenze solide sulle nuove tecnologie e regolazioni più stringenti. Il 64,3% degli italiani utilizza un mix di fonti informative, tradizionali e online, il 9,9% si affida solo ai media tradizionali e il 19,2% (circa 10 milioni di italiani in valore assoluto) alle fonti online. Social media, blog, forum, messaggistica istantanea sono espansioni del nostro io e del modo di vedere il mondo: è il fenomeno delle echo chambers, cui sono esposti tutti quelli che frequentano il web e soprattutto i più giovani, tra i quali il 69,1% utilizza la messaggistica istantanea e il 76,6% i social media per informarsi. Il 56,7% degli italiani è convinto che, di fronte al disordine informativo che caratterizza il panorama attuale dell’informazione, sia legittimo rivolgersi alle fonti informali di cui ci si fida di più. L’Ai e la qualità dell’informazione: il 75,1% della popolazione ritiene che con l’upgrading tecnologico verso l’Intelligenza Artificiale sarà sempre più difficile controllare la qualità dell’informazione, mentre per il 58,9% l’Ai può diventare uno strumento a supporto dei professionisti della comunicazione. In generale l’85,8% degli italiani ha paura di farsi trovare impreparato di fronte a un cambiamento tecnologico che, presumibilmente, regolerà nuovamente il modo di vivere, studiare, lavorare e anche di produrre e accedere alle informazioni, e  ritiene che ci sia bisogno di far conoscere di più ai cittadini i vantaggi e i limiti dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale. È una consapevolezza trasversale alla popolazione, ma che, significativamente, trova d’accordo “solo” il 74,2% di chi ha un titolo di studio basso contro l’86,5% dei laureati, a testimonianza di una carenza di consapevolezza dell’impatto cruciale che nel futuro avranno questi sistemi nella vita degli italiani proprio da parte di chi ha meno strumenti di lettura e interpretazione della realtà. Fonte: Ansa

Italia in forte ritardo nella realizzazione di nuovi impianti da rinnovabili: sono 1364 quelli in lista d’attesa e ancora in fase di valutazione, il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Sono i numeri del nuovo report di Legambiente ‘Scacco matto alle rinnovabili 2023′ presentato questa mattina alla Fiera K.Ey di Rimini insieme ad un pacchetto di proposte e ad un’analisi su 4 legge nazionali e 13 leggi regionali che frenano la corsa delle fonti pulite. A pesare sullo sviluppo delle rinnovabili, secondo l’associazione, “norme obsolete e frammentate, la lentezza degli iter autorizzativi, gli ostacoli e le lungaggini burocratiche di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali” oltre ai “no delle amministrazioni comunali e le opposizioni locali Nimby (Not In My Backyard) e Nimto (Not In My Terms of Office)”. Più nel dettaglio, spiega Legambiente, “ad oggi nella Penisola sono 1364 gli impianti in lista d’attesa, ossia in fase di Via, di verifica di Assoggettabilità a Via, di valutazione preliminare e di Provvedimento Unico in Materia Ambientale a livello statale. Il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. A fronte di questo elevato numero di progetti in valutazione, e nonostante le semplificazioni avviate dall’ex governo Draghi e l’istituzione e il potenziamento appena stabilito delle due Commissioni Via-Vas che hanno il compito di rilasciare un parere sui grandi impianti strategici per il futuro energetico del Paese, sono pochissime le autorizzazioni rilasciate dalle Regioni negli ultimi 4 anni. Nel 2022 “solo l’1% dei progetti di impianti fotovoltaici ha ricevuto, infatti, l’autorizzazione. Si tratta del dato più basso degli ultimi 4 anni se si pensa che nel 2019 a ricevere l’autorizzazione sono state il 41% delle istanze, per poi scendere progressivamente al 19% nel 2020, al 9% nel 2021. Ancor peggio i dati dell’eolico on-shore con una percentuale di autorizzazioni rilasciate nel 2019 del 6%, del 4% nel 2020, del 1% nel 2021 per arrivare allo 0% nel 2022. Dati nel complesso preoccupanti se si pensa che negli ultimi anni sono aumentati sia i progetti presentati sia le richieste di connessione alla rete elettrica nazionale di impianti di energia a fonti rinnovabili, quest’ultime sono passate da 168 GW al 31 dicembre 2021 ad oltre 303 GW al 31 gennaio 2023”. “Altro campanello d’allarme – avverte l’associazione – è rappresentato anche dalla lentezza delle installazioni, come emerge dagli ultimi dati Terna, appena 3.035 MW nel 2022 – e l’incapacità produttiva del parco complessivo di sopperire alla riduzione di produzione. Le fonti rinnovabili, fotovoltaico a parte, nel 2022 hanno fatto registrare, tutte, segno negativo. L’idroelettrico, complice l’emergenza siccità, registra un meno 37,7% a cui si aggiunge il calo del 13,1% in tema di produzione da pompaggi che portano il contributo delle rinnovabili, rispetto ai consumi complessivi, al 32%. Ovvero ai livelli del 2012. Ostacoli che Legambiente racconta anche nella mappa aggiornata dei luoghi simbolo con storie, che arrivano dal Nord al Sud della Penisola, di progetti bloccati e norme regionali e locali che ostacolano le rinnovabili. Ventiquattro le nuove storie sintetizzate nella mappa, che si aggiungono alle 20 dello scorso anno. Tra i casi più emblematici quelli di Puglia, Toscana e Sardegna. Di fronte a questo quadro, Legambiente rilancia oggi le sue proposte per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili in Italia e l’effettiva realizzazione degli impianti “a partire dall’aggiornamento delle Linee Guida per l’autorizzazione dei nuovi impianti ferme al 2010 e un riordino delle normative per arrivare, attraverso un lavoro congiunto, tra il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, il ministero delle Imprese e del Made in Italy e il ministero della Cultura, ad un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato, dia tempi certi alle procedure. In questa partita rimane centrale il dibattito pubblico, uno strumento strategico sia per migliorare l’accettabilità sociale dei progetti sia per accelerare i processi autorizzativi ed evitare contenziosi inutili”. ”Al governo Meloni – dichiara il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani – torniamo a ribadire che il Paese non deve diventare l’hub del gas, ma quello delle rinnovabili. Se davvero si vuole contrastare la crisi climatica, accelerare la transizione ecologica e centrare gli obiettivi di decarbonizzazione indicati dall’Europa, l’Italia deve puntare con fermezza su rinnovabili, efficienza, autoproduzione, reti elettriche e accumuli. In questo percorso, è indispensabile che il governo metta in campo una politica di breve, medio e lungo periodo anche rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione non più rimandabili. Primo fra tutti occorre semplificare l’iter dei processi autorizzativi per garantire certezza dei tempi e potenziare gli uffici delle Regioni che rilasciano le autorizzazioni affinché gestiscano meglio i progetti che si stanno accumulando. Occorre riordinare la normativa sulle rinnovabili e aggiornare il Pniec rispondendo al nuovo scenario energetico che dovrà evolvere verso la configurazione di nuovi paesaggi sempre più rinnovabili e pensando sia agli obiettivi di decarbonizzazione al 2035 sia al modo migliore di integrarle nei territori”. ”Le fonti rinnovabili, insieme a politiche serie e lungimiranti di efficienza energetica, rappresentano una chiave strategica non solo per decarbonizzare il settore energetico, priorità assoluta nella lotta alla crisi climatica, ma anche per portare benefici strutturali nei territori e alle famiglie e per creare opportunità di crescita ed innovazione in ogni settore. Se è vero che non esiste l’impianto perfetto – commenta Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente – è altrettanto vero che questi impianti possono essere integrati al meglio ed essere valore aggiunto per i cittadini e le cittadine che vivono quei territori. Per questo è fondamentale non depotenziare uno strumento prezioso come quello del dibattito pubblico, come rischia di fare il governo Meloni con la nuova proposta del Codice degli Appalti. La partecipazione dei territori e il loro protagonismo sono parte essenziale della giusta transizione energetica’.

Il caro prezzi taglia del 4,2% le quantità di prodotti alimentari acquistate dagli italiani nel 2022 che sono però costretti però a spendere comunque il 4,7% in più a causa dei rincari determinati dalla crisi energetica. E’ quanto emerge dall’analisi Coldiretti su dati Istat relativi al commercio al dettaglio nel 2022 rispetto all’anno precedente che evidenzia l’impatto del caro prezzi sul carrello della spesa, dove i volumi di cibo acquistato sono diminuiti di oltre cinque volte rispetto al dato generale (-0,8%). La situazione di difficoltà, sottolinea Coldiretti, è resa ancor più evidente dal fatto che volano gli acquisti di cibo low cost con i discount alimentari che fanno segnare un balzo del +9,9% nelle vendite in valore, il più elevato nel dettaglio.
“Il risultato dei discount – precisa la Coldiretti – evidenzia la difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che, spinte dai rincari, orientano le proprie spese su canali a basso prezzo rinunciando anche alla qualità”. Per difendersi dagli aumenti 8 italiani su 10 (81%) hanno preso l’abitudine di fare una lista ponderata degli acquisti da effettuare per mettere sotto controllo le spese d’impulso, secondo l’analisi Coldiretti/Censis che evidenzia come siano cambiati anche i luoghi della spesa con il 72% degli italiani che si reca e fa acquisti nei discount, mentre l’83% punta su prodotti in offerta, in promozione. Le famiglie infatti vanno a caccia dei prezzi più bassi anche facendo lo slalom nel punto vendita, cambiando negozio, supermercato o discount alla ricerca di promozioni per i diversi prodotti. “Occorre lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni”, afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.

La fiducia nel sistema sanitario pubblico “è una caratteristica fondamentale” nella gestione della pandemia. E “l’adesione alla vaccinazione è un atto di fiducia nei confronti della sanità pubblica. Certo è oggetto di dibattito e ci sono anche vivaci minoranze che si esprimono, ma quando andiamo a guardare i numeri parliamo di 9 italiani su 10 che hanno aderito alle vaccinazione anti-Covid. Questa fortissima adesione ha consentito dei numeri che oggi possiamo illustrare” nel report dell’Istituto superiore di sanità appena pubblicato. Lo ha detto il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, intervenuto all’evento ‘Sanità pubblica e privata: come ripartire’, healthcare talk di Rcs Academy. “La campagna vaccinale – ha sottolineato – ci ha visti, tra i Paesi occidentali, come maggiormente capaci di favorire la vaccinazione anti Covid. I tassi di copertura vaccinale nel nostro Paese sono tra i più elevati del mondo occidentale. E questo ha consentito di modificare le curve, sia per quanto riguarda le incidenze, ma soprattutto per quanto riguarda l’impatto nei decessi e nei ricoveri”. Poter affrontare pandemie come questa, ha aggiunto Brusaferro, “richiede un sistema. Noi abbiamo il sistema sanitario nazionale che si è rivelato preziosissimo per tutti noi. Oggi ha bisogno di essere rafforzato, ammodernato e arricchito da quelle competenze che si sono dimostrati essenziali in questi due anni”.

Dopo la brusca frenata del 2020, l’imprenditoria femminile torna a correre: nel 2021 si registrano 7.294 imprese attive in più (+0,6%), una crescita che riporta il totale di imprese rosa ai livelli pre-pandemia. Ma la crescita non è omogenea: commercio al dettaglio e ristorazione, tra i comparti più colpiti dalla pandemia, continuano a soffrire e perdono quasi 2mila attività in 12 mesi. È quanto emerge dalle elaborazioni condotte dall’Ufficio economico Confesercenti su dati camerali di natimortalità delle imprese in occasione della Giornata Internazionale della Donna. L’analisi territoriale mostra una crescita diffusa di imprese rosa, in aumento in 17 regioni su 20. L’incremento è stato più rapido in Trentino, Lombardia (rispettivamente +1,7% e +1,6%), Sicilia e Puglia (+1,2%), mentre tra le regioni che hanno registrato una riduzione delle imprese femminili, la discesa è risultata più rapida nel Lazio (-1,7%). Il ritorno alla crescita dell’imprenditoria femminile si accompagna ad una tendenza al consolidamento organizzativo. Ad aumentare sono infatti soprattutto le consistenze delle società di capitale (+4,1% a fine 2021) – con il settore dell’alloggio sopra la media nazionale (+5,5%) – mentre si riduce invece il numero di società di persone (-1,7% rispetto al 2020). La ripresa nasce dunque dalle società di capitali, tipologia di azienda più strutturata e “robusta” sotto il profilo organizzativo e gestionale. “Nonostante le difficoltà, le imprenditrici hanno dimostrato di sapere mettersi in discussione e creare opportunità per loro stesse e per gli altri, fornendo un contributo fondamentale alla ripresa e all’economia. Un contributo che si traduce non solo in un aumento del Pil, ma anche in una maggiore consapevolezza sui temi della responsabilità sociale e della sostenibilità, molto sensibili per le donne”, commenta la Presidente di Impresa Donna Confesercenti Barbara Quaresmini. “È però necessario fare di più per sostenere le imprese al femminile, che sono ancora solo il 22,6% del totale. Confesercenti sta studiando linee di credito dedicate alle donne, per rafforzare ulteriormente il servizio di accesso al credito dell’associazione, già ben strutturato e a disposizione dalle sedi territoriali. Ma sarà fondamentale anche utilizzare fino in fondo le risorse messe a disposizione dal PNRR per l’imprenditoria femminile, un fronte su cui Confesercenti sta profondendo il massimo impegno, non solo partecipando ai tavoli istituzionali, ma progettando anche iniziative ad hoc”.

‘Sto facendo fare delle verifiche a un notaio, ma pare che sia proprio così”. Claudio Baglioni compirà 70 anni il 16 maggio e, in un’intervista a Famiglia Cristiana, ironizza sul suo compleanno, ripercorrendo la sua carriera attraverso i versi delle sue canzoni. ”Non so com’è cominciata – afferma – forse ascoltando una radio. La mia prima maestra di canto è stata una radio a valvole che ho ancora. Per me era come una scatola magica con un occhio che si illuminava di verde quando raggiungeva la sintonia. La pratica poi l’ho fatta quando andavamo a trovare i nostri parenti in Umbria. A volte ci donavano qualche coniglio o qualche gallina e al ritorno in treno, per non farci accorgere della loro presenza, io, mio padre e mia madre cantavamo per tutto il tempo”. I ricordi di Baglioni risalgono agli anni dell’infanzia, al padre ”brigadiere che scrive poesie. Sì, qualcuna l’ha dedicata pure a me. Descriveva la gioia che provava tornando dal turno di notte quando trovava il suo ragazzino che ancora dormiva. Le ho lette molto tempo dopo, anche quando lui non c’era già più”. Il cantautore ricorda anche la madre, citando la sua canzone ”51 Montesacro’: ”Era una sarta, e io mentre cuciva andavo da lei. Nell”82, arriva ‘Avrai’ dedicata alla nascita del figlio Giovanni, anche lui musicista affermato: ”La musica è stata ed è un cemento molto importante nel nostro rapporto. Anche perché non sono stato sempre un padre molto presente”. Ancora, i temi sociali nei pezzi come ‘I vecchi’, ‘Uomini persi’, ‘Naso di falco’ e ‘Noi no’, quest’ultima, scritta dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino, ”era una canzone su un generico desiderio di libertà. Qualche settimana dopo le stragi feci un concerto allo stadio La Favorita di Palermo. Il pubblico prima iniziò a cantare ‘Chi non salta un mafioso è’ e poi, con mia grande sorpresa, ‘Noi no’. La cosa si è ripetuta e ovviamente mi ha fatto molto piacere”. Il cantautore, che per dieci anni hai organizzato a Lampedusa O’ Scià, un festival nato per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’immigrazione clandestina, passa poi a parlare dell’ultimo naufragio nel Mediterraneo: buttare quintali di arance e quando chiedo spiegazioni mi rispondono con la legge della domanda e dell’offerta. Razionalmente lo capisco, ma nel profondo no: vedo solo tanta roba buona che viene distrutta. Di fronte a tante spiegazioni della politica e dell’economia, alzo le mani e confesso di non capire”. Tante volte mi sono chiesto che senso abbia fare un nuovo disco, tanto quelli di prima saranno sempre migliori, perché hanno una storia, perché contengono tutte le vite di chi li ha ascoltati. Ma gli ottimi riscontri che ha ricevuto il mio ultimo album mi hanno rincuorato e mi spronano ad andare avanti. Da un punto di vista umano, ora ho molto netta la sensazione che il futuro che mi aspetta non sia equivalente al passato che ho alle spalle. Alcune cose non torneranno più, se non attraverso i ricordi, attraverso una sana nostalgia. Per il resto, sono ancora un curioso della vita”.

La moda italiana è la prima nelle ricerche online dei russi secondo il motore di ricerca russo Yandex. L’Italia è la prima nazionalità associata alla moda in Europa con 15mila ricerche mensili online e il 34% delle richieste. Il Belpaese mantiene la leadership anche a livello mondiale tra i russi al terzo posto, dopo Turchia e Cina, relativamente più popolari per prezzi e qualità più bassi rispetto alla produzione Made in Italy. Dai dati del rapporto Fashion Consulting Group, Yandex e FashionSnoops l’isolamento da pandemia ha spinto 15 nuovi milioni di utenti russi ad acquistare online. Gli analisti prevedono che entro la fine dell’anno la quota delle vendite online potrebbe raggiungere il 20-25% del mercato al dettaglio. Secondo lo studio, il 28% degli utenti che ha effettuato acquisti online di vestiti, scarpe e accessori durante il periodo di isolamento è diventato più fedele allo shopping online. Il settore fashion del mercato digitale russo è uno dei più importanti e vale 296 miliardi di rubli, 4,6 miliardi di dollari. Gli analisti prevedono che il fatturato del segmento moda crescerà fino al 50% entro fine 2020. Gli acquisti online riguardanti l’abbigliamento e accessori riguardano il 23% degli acquisti presso le piattaforme online locali, mentre il 33% rappresentano gli acquisti transfrontalieri (presso siti esteri). All’inizio dell’anno, il pubblico dell’e-commerce in Russia era stimato in 60-65 milioni di persone e dopo la quarantena è cresciuto fino a 75-80 milioni di acquirenti. Si stima che la quota delle vendite online potrebbe crescere fino al 20-25% entro la fine dell’anno. L’ecommerce russo nel suo insieme è uno dei 10 con maggiore crescita al mondo e secondo Morgan Stanley raggiungerà un valore di 30 miliardi di dollari nel 2020 e di 52 miliardi di dollari nel 2023, vantando una crescita del +170% nel giro di pochi anni. “Negli ultimi anni l’ecommerce russo sta crescendo costantemente e questo si accompagna ad una maggiore fiducia dei consumatori nei pagamenti online e migliori consegne nel territorio russo – commenta Giulio Gargiullo, esperto del mercato digitale russo -. La pandemia ha chiaramente spinto nuovi utenti ad acquistare online maggiormente fashion e luxury ed è per questo sempre più importante per le aziende italiane ed estere investire nella presenza del mercato russo online che ha proprie piattaforme locali di vendita omline”, “per questo mercato, oltre ad utilizzare le piattaforme locali, è fondamentale sviluppare un sito per il proprio brand localizzato per la lingua e la cultura russa. Inoltre con la pandemia risulta chiaro che è sempre più importante coinvolgere i consumatori russi con nuove tecnologie: sfilate di moda in streaming, realtà virtuale, realtà aumentata e applicazioni di AI per migliorare l’esperienza dell’utente, soprattutto nell’ambito luxury. I buyer russi rimangono amanti del Made in Italy, sono meno impulsivi che in passato e ricercano prodotti di alta qualità”.

Il prossimo 4 settembre – dalle ore 10.30 alle ore 13,00, presso l’aula magna “Filippo De Luca” del padiglione NI, dell’Azienda Universitaria Policlinico “Gaetano Martino” di Messina – sarà presentato il progetto obiettivo dal titolo “Gestione delle cronicità endocrino-metaboliche secondarie a tumori cerebrali insorti in età pediatrica: modello di assistenza multidisciplinare specialistica con interazione telematica ospedale-territorio e specialista-paziente”, finanziato dal programma PSN 2017-2018, all’Azienda Universitaria peloritana. Responsabile scientifico del progetto è il prof. Salvatore Cannavò, ordinario di Endocrinologia dell’Università degli Studi di Messina e direttore dell’UOC di Endocrinologia dell’AOU G. Martino. All’apertura dei lavori interverrà il Commissario Straordinario dell’azienda ospedaliera universitaria, dr. Giampiero Bonaccorsi. Il progetto nasce dalla collaborazione dell’unità operativa complessa di Endocrinologia con le unità operative complesse di Pediatria e di Neurochirurgia e con l’unità operativa semplice “ICT e Internazionalizzazione”, ed è destinato a pazienti che presentano conseguenze endocrino-metaboliche, a causa di tumori cerebrali sviluppati in età pediatrica. L’obiettivo è quello di accrescere il livello di informazione su tali problematiche nella popolazione in generale e nei pazienti in particolare, migliorare la formazione medica specialistica, acquisire dati epidemiologici su base regionale, realizzare un sistema di telemedicina, assicurando l’assistenza da remoto ai pazienti e ridurre, altresì, la migrazione sanitaria passiva (e aumentare quella attiva verso la nostra Regione) per la cura di tali patologie. Nonostante la quasi costante benignità delle neoplasie riguardanti la regione cerebrale diencefalica in età pediatrica ed il frequente successo del trattamento chirurgico e/o radiante, sono pressoché inevitabili alcune conseguenze sistemiche endocrino-metaboliche, che compromettono la salute fisica e psichica dei pazienti. Queste ultime causano a loro volta ulteriori co-morbilità e precoce mortalità e presentano significative ripercussioni sulla quotidianità dei pazienti, che coinvolgono l’intero nucleo familiare ed i cosiddetti caregiver. La relativa rarità delle neoplasie e la limitata conoscenza dei conseguenti problemi e delle possibili soluzioni da parte della classe medica, rappresentano un’ulteriore criticità, soprattutto per via della carenza di centri di riferimento sul territorio nazionale. (L ’evento sarà anche trasmesso in streaming sul sito web dell’AOU).

Pronto il documento della task force sulla fase tre: il comitato di esperti in materia Economica e Sociale, guidato da Vittorio Colao, ha consegnato oggi alla Presidenza del Consiglio il rapporto finale sul lavoro effettuato dalla data del suo insediamento lo scorso 10 aprile. E’ quanto annuncia un comunicato. “In questa seconda fase al Comitato è stato chiesto di suggerire visione, strategia e iniziative atte a facilitare e rafforzare la fase di rilancio post Covid19. Il precedente rapporto si era invece concentrato sulla metodologia da seguire e le condizioni da realizzare per le riaperture produttive avvenute nel mese di maggio. Il rapporto, che verrà illustrato nei prossimi giorni, propone obiettivi generali e sei ambiti fondamentali per il rilancio (Imprese e Lavoro; Infrastrutture e Ambiente; Turismo, Arte e Cultura; Pubblica Amministrazione; Istruzione, Ricerca e Competenze; Individui e Famiglie) e articola iniziative per ciascuno di questi”, continua la nota. “Il Comitato che – viene ricordato – ha operato su base volontaria e senza costo alcuno per la collettività, ha ringraziato il Presidente del Consiglio per l’opportunità offerta di mettere a disposizione delle istituzioni della Repubblica le proprie competenze. Un particolare ringraziamento va ai funzionari delle Istituzioni che nelle otto settimane di lavoro hanno contribuito, agevolato e supportato sul piano tecnico le attività del Comitato”.

L’Osservatorio sulla Sicurezza, partendo da una proposta avanzata nei mesi scorsi dal Presidente dell’Istituto, Gian Maria Fara, ha elaborato il seguente documento offrendone i contenuti ai decisori politici e ai diversi attori istituzionali. Contrastare la criminalità organizzata sul piano patrimoniale è una scelta strategica di grande intelligenza: non a caso l’opzione metodologica è figlia del pensiero di Giovanni Falcone. L’esperienza del nostro Paese mostra con piena evidenza che i sodalizi criminali moderni meglio strutturati sono in grado di sopravvivere anche a massicce operazioni repressive incentrate sui singoli associati all’organizzazione. In altri termini, l’applicazione di strategie di prevenzione soggettiva e di misure coercitive contro i singoli individui può sempre lasciare un margine più o meno ampio di sopravvivenza all’organizzazione criminale, se non viene sostenuta dall’individuazione e sequestro dei beni provento delle attività illecite: questi beni, infatti, sono utilizzati dalle organizzazioni criminali per garantire un ricambio generazionale del capitale umano. Il Paradigma a base del metodo di contrasto prescelto è il seguente: Il crimine organizzato è orientato al profitto; Il capitale illegale è costantemente immesso in mercati leciti e in questo modo: si incrementano i margini di profitto; si favorisce la copertura delle attività illecite; si facilita la graduale infiltrazione delle organizzazioni criminali nella società. La repressione dei capitali illeciti è, dunque, il modo migliore: per ridurre sensibilmente la costante rigenerazione delle associazioni criminali; per minare le fondamenta della loro influenza sulla società e del loro controllo sul territorio. L’apice concettuale del modello italiano di confisca è stato delineato dalla Corte costituzionale (Sentenza n.34 del 2012), la cui visione può essere sintetizzata come segue: il benessere generato dai beni illeciti non deve essere perso dalla comunità. Conseguentemente, tutti gli sforzi devono essere indirizzati ad includere le proprietà confiscate all’interno del circuito economico legale. In questo modo, la confisca e la destinazione ai fini sociali dei beni confiscati integrano la manifestazione della disapprovazione sociale verso una data condotta.
La validità dell’opzione è confermata dal fatto che, sul piano internazionale, si va affermando la consapevolezza dell’importanza del recupero dei beni nella lotta al crimine organizzato e alla corruzione. Si può discorrere, a pieno titolo, di modello italiano di asset recovery. L’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata è stata istituita con decreto legge 4 febbraio 2010, n.4, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010, n.50 (pubblicata in G.U. il 3 aprile 2010), oggi recepita dal decreto legislativo n.159 del 6 settembre 2011 (Codice Antimafia). L’Agenzia è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico, dotata di autonomia organizzativa e contabile ed è posta sotto la vigilanza del Ministro dell’Interno. La struttura ha sede principale a Roma e sedi secondarie a Reggio Calabria, Palermo, Milano e Napoli. La creazione dell’Agenzia aveva come principale elemento innovativo l’introduzione di un’amministrazione dinamica dei patrimoni confiscati che snellisse e velocizzasse la fase di destinazione degli stessi, superando le carenze e le inefficienze della precedente metodologia di gestione. Tempo fa, il Presidente Fara propose di rivedere le politiche di gestione ed utilizzazione di questo “tesoro” sostenendo che: «l’enorme patrimonio accumulato con le confische dei beni della criminalità organizzata e delle mafie deve essere messo a frutto e gestito con criteri manageriali, come si farebbe con un’azienda o un insieme di aziende, facenti capo ad un unico soggetto finanziario. Insomma, una vera e propria holding, organizzata e gestita in stretta collaborazione con l’ANBSC e con la vigilanza del Sistema giudiziario antimafia». L’holding per la gestione dei beni confiscati, al contrario, avrebbe, grazie ai numeri prima citati, un capitale enorme, anzi sarebbe in assoluto il soggetto con la più alta concentrazione di capitale in Italia. Si tratterebbe di un “Iri 2” con il “capitale” più alto del capitale sociale di Eni, Enel, Assicurazioni Generali, Intesa San Paolo, Poste Italiane e Leonardo messi insieme. Una Holding articolata per settori di competenza affidati a manager di comprovata esperienza (come, ad esempio: immobiliare, produzione agroalimentare, agricoltura, distribuzione, servizi e ambiente). Certo, la valorizzazione di questo immenso patrimonio non sarebbe da subito disponibile per fronteggiare nell’immediato l’emergenza generata dall’epidemia da Coronavirus ma potrebbe rappresentare una delle risorse strategiche per uscire dalla crisi e rilanciare la nostra economia. Una simile opzione strategica metterebbe d’accordo anche i due orientamenti di pensiero che si fronteggiano da anni sul tema della vendita dei beni confiscati, polarizzandosi tra chi preferisce monetizzare il valore dei beni sequestrati e confiscati con finalità meramente contabili e chi, invece, destina a fini sociali i beni sequestrati e confiscati anche allo scopo di fornire alla collettività un segnale di virtù civica. Destinare il patrimonio confiscato a finalità sociali attraverso un’opzione metodologica più moderna e rispondente alle esigenze economiche del Paese, senza snaturare la finalità sottesa alla destinazione del bene alla società, rifletterebbe l’impostazione che intende valorizzare le potenzialità dell’istituto dell’asset recovery quale strumento di riscatto morale da una parte e l’avvertita necessità di un concreto sviluppo economico legato al riutilizzo dei beni confiscati. Infine, le risorse generate da questa gestione imprenditoriale e manageriale dell’enorme capitale disponibile potrebbero essere utilizzate, nelle diverse forme possibili, nella lotta alle mafie stesse. Questo il pensiero del Gen. Pasquale Preziosa, Presidente dell’Osservatorio permanente Eurispes sulla Sicurezza