Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e uno dei componenti del direttorio del M5S, prova a ridare una verniciatura al Movimento, come se non avessimo memoria e occhi e orecchie per giudicarli. Si, perché ha usato la locuzione ‘rivoluzione gentile’ per definire l’ondata di successi elettorali che avrebbero raccolto nel Paese. Il tentativo è maldestro e l’obiettivo difficile da raggiungere. La realtà è che i grillini e il loro Movimento, di gentile hanno poco o nulla. Di istituzionale ancora meno. Il popolo dei vaffanculo e dell’arroganza verbale, degli attacchi ad personam agli avversari politici, delle smargiassate sui social media, degli insulti e delle grida, non lo cambi con un tocco di penna o con uno slogan. Per apparire gentili occorre esserlo, nei modi, nei comportamenti, nel linguaggio, nel rispetto verso gli altri. Non basta indossare il vestito buono e la cravatta giusta per essere accolti nel consesso della politica rispettabile. Serve altro: ad esempio il rispetto delle regole e delle procedure democratiche. È sin troppo facile contestare il sistema e l’establishment e volerne al contempo farne parte quando ci conviene. È la stessa contraddizione di chi vuol essere partito di lotta e di governo, partito della protesta e della proposta politica. La trasformazione eventuale richiede tempo, ammesso che la si voglia davvero. Anche perché come diceva Toto’, ‘cca nisciuno è fesso’