Un altro significativo passo in avanti nella lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione ma non soltanto in essa. E’ stato approvato infatti il testo sul whistleblowing: il provvedimento tutela i dipendenti che segnalino illeciti (a partire dagli episodi di corruzione) nelle aziende, anche private. Tra le misure il divieto di sanzioni o demansionamenti e la protezione dell’identità. La legge era stata proposta dal Movimento Cinque Stelle ma è passata a larga maggioranza. Il presidente dell’Anac, autorità anticorruzione ha cosi commentato: “si tratta di una norma di civiltà”. Montecitorio ha approvato la legge sul whistleblowing per tutelare chi denuncia irregolarità e corruzione, con 357 sì, 46 voti contrari e 15 astenuti. Un sì definitivo dopo anni di attesa e di perplessità. Il whistleblower – letteralmente colui che soffia nel fischietto – è il dipendente che denuncia episodi di corruzione e irregolarità alla magistratura o all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), e non potrà essere punito per la sua iniziativa. In questo caso l’elenco delle punizioni è vario: si va dal cambio di funzione al trasferimento o dal mobbing al licenziamento. Ogni azione punitiva o discriminatoria a danno del whistleblower diventa nulla e l’ente presso il quale questo lavora può essere sanzionato fino a 30mila euro, cifra destinata a salire fino a 50mila euro nel momento in cui, dopo la segnalazione di irregolarità, l’ente non avesse approntato le dovute verifiche o fosse venuto meno alle procedure decise dall’Anac. Vige la segretezza assoluta. L’identità del whistleblower non verrà resa nota ma, nonostante ciò, le denunce anonime non verranno prese in considerazione. Il testo prevede anche l’annullamento di ogni tutela in favore di quei soggetti che effettuano la segnalazione e che sono stati condannati per calunnia, diffamazione o per colpe gravi. Rimangono comunque alcune lacune, soprattutto nel settore privato. Ogni azienda deve infatti prevedere una procedura per la segnalazione di abusi, in linea con i parametri fissati dall’Anac. Considerando la grande presenza di piccole e medie aziende sul territorio italiano (circa il 90% del totale) diventa difficile pensare che in ognuna queste possano essere allestite in modo rigoroso e in tempi brevi procedure che garantiscano gli adempimenti previsti dalla legge. Si tratta di una legge che migliora l’impianto previsto nell’articolo 1 comma 51 della legge Severino già applicata agli enti pubblici, nelle cui file si inseriscono ora anche gli enti di diritto privato sottoposti al controllo della cosa pubblica e che apre anche al settore privato, intervenendo sulla nullità di ogni atto discriminatorio o con il reintegro in caso di licenziamento.