Pd

Giurista di fama, autore prolifico di volumi e saggi sul diritto costituzionale e politico. E’ stato ed è tutto questo Augusto Barbera il nuovo presidente della Corte Costituzionale. Approdato alla Corte nel 2015, eletto dal Parlamento su indicazione del Pd, ne è stato vicepresidente e sino ad oggi presidente reggente, da quando a novembre è scaduto il mandato di 9 anni di Silvana Sciarra a cui ora succede a pieno titolo. Nato ad Aidone ,in provincia di Enna , classe 1938, sposato, con due figli, è professore emerito di Diritto costituzionale presso l’Università di Bologna, dove è stato professore ordinario fino al 2010. Laureatosi nel novembre del 1960, si è formato nell’Università di Catania dove, nel 1968, ha conseguito la libera docenza in diritto costituzionale. Nell’ambito dell’attività accademica, è stato professore ordinario di Diritto costituzionale nelle Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna (dal 1994 al 2010) e dell’Università di Ferrara (dal 1970 al 1977). Ha insegnato Istituzioni di Diritto pubblico nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna (1977-1994) e Diritto costituzionale italiano e comparato nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Catania (1969-1970). Ha pubblicato 22 volumi e circa 400 tra saggi, note a sentenza, relazioni o interventi a convegni. È stato Direttore, dal 1999 al 2015, di “Quaderni costituzionali. Rivista italiana di diritto costituzionale”, edita da Il Mulino.È componente del comitato di direzione e del comitato scientifico di diverse riviste, fra cui “Rassegna parlamentare”, “Studi parlamentari e di politica costituzionale”, “Le istituzioni del federalismo”, “Nuova informazione bibliografica”, “Autonomie locali e servizi sociali”. Inoltre, co-dirige, insieme al Professore Andrea Morrone, gli “Annali di diritto costituzionale”. Altra sua grande passione la politica. Dal 1980 al 1982 consigliere regionale in Emilia Romagna, poi è stato deputato eletto nelle liste del Pci e del Pds, per cinque legislature, fra il 1976 e il 1994. Nell’aprile 1993 venne nominato ministro per i Rapporti con il Parlamento nel governo di Carlo Azeglio Ciampi. Si dimise però, a 24 ore dal giuramento insieme agli altri tre ministri della sinistra di quell’esecutivo in polemica per la mancata concessione, da parte del Parlamento, dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi. È stato anche fra i promotori dei referendum elettorali del 1991, del 1993 e del 1999.

Matteo Renzi non é tipo da recitare ruoli secondari. Sarà perché ha fatto il premier o perchè il suo Pd ha raggiunto, in una congiuntura politica particolarmente felice, il 40% dei consensi, ma oggi l’ex sindaco di Firenze non vuole più sostenere un governo, come quello di Giuseppe Conte, che non ha anima e respiro e che non sembra tagliato per il raggiungimento di traguardi importanti, né sul piano delle riforme né su quello di un rilancio dell’azione di governo. Le minacce che Italia Viva ha pronunciato all’indirizzo del governo non appaiono solo un tentativo di alzare il tiro per ottenere maggiori spazi. Hanno piuttosto tutta l’aria di essere una manovra per smarcarsi fuori tempo massimo dalle responsabilità di una coalizione di governo che non ha mai volato alto e che registra al proprio interno contraddizioni insanabili. Del resto, la convivenza di Renzi con il M5S era ed é qualcosa di innaturale. Certo, la formazione politica Italia Viva é data tra il 3 e il 4%, ma siamo sicuri che una sua permanenza in questo governo non la indebolirebbe ulteriormente?

E alla fine Renzi prese il coraggio a due mani – cosa che non gli è mai risultata difficile – e ha annunciato la sua fuoriuscita dal Pd che lo ha visto segretario e che gli ha consentito di ricoprire la carica di Premier. Ma si può parlare di un gesto di profonda ingratitudine? A nostro avviso, no. Renzi é un leader politico europeista, moderno, capace, naturalmente proiettato nel futuro, dalle grandi capacità comunicative. Cosa ci stava a fare il fiorentino Matteo nel partito di Zingaretti e di Zanda? Nulla di significativo. Non c’era alcuna prospettiva per lui che di sinistra e di ideologico non ha mai avuto nulla. L’augurio che in molti si fanno è che possa dare vita ad una formazione di Centro, di ispirazione liberale e riformista, che dia voce e rappresentanza a tutto quell’elettorato che non vuole morire leghista o grillino e che confida nelle istituzioni democratiche, che crede nella Costituzione e nell’Unione europea, nelle eccellenze che l’Italia rappresenta, nella possibilità per il nostro Paese di ritornare sulla ribalta internazionale con il rispetto e la considerazione che merita. Saprà Renzi offrire una opportunità a questo elettorato moderato, stanco degli insulti e delle smargiassate sui social media, delle incompetenze esibite come medaglie al merito? Saprà Renzi costruire un partito plurale e libero da oligarchie di corto respiro? Riuscirà a dare al Mezzogiorno una reale possibilità di crescita e di sviluppo in un contesto di responsabilizzazione delle sue energie migliori? Potranno, i sostenitori di questa formazione politica, riconoscersi nel programma e nei valori costitutivi? Se davvero Renzi riuscirà in questa operazione che non è solo politica ma culturale e di rifondazione democratica, allora avrà successo. In caso contrario, si tratterà dell’ennesimo partitino che vuole dire la propria sulle nomine e sugli equilibri di Palazzo anziché volare alto per restituire autorevolezza e credibilità alla politica nazionale.

 

Si può essere favorevoli o contrari allo strumento delle primarie per l’indicazione del leader di un partito. Si può essere di uno schieramento antitetico a quello della sinistra. E Nicola Zingaretti può anche suscitare le dovute perplessità o antipatie, ma l’affluenza di quasi due milioni di cittadini alle primarie del Pd é una notizia bellissima per la politica che non si riconosce nella demagogia populista e nella ostentazione della incompetenza e della improvvisazione al potere. ll governo gialloverde e, soprattutto il Paese, da oggi possono contare su una opposizione organizzata e che si è scelta un leader. E Zingaretti ha proprio detto di voler essere un leader e non un capo. Non sono sfumature. La cultura dell’uomo solo al comando appartiene ad altre logiche e ad altre visioni. La politica deve ritornare alle forme e ai contenuti. Le une e gli altri sono essenziali. C’é bisogno di moderazione, di rispetto, di pace sociale, di concordia e di unità del Paese. Tutte cose che la Lega da una parte e la setta del M5S dall’altra, ignorano.

“Altro che ecotassa, quella che stanno mettendo Di Maio e Salvini e’ una vera e propria tassa sulle famiglie italiane, in particolare le neofamiglie che con bimbi piccoli devono acquistare auto piu’ spaziose delle utilitarie senza poter spendere cifre troppo alte”. Lo scrive su facebook il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi. “La tassa Di Maio – prosegue Anzaldi – si abbattera’ su automobili come la 500L, la Fiat Doblo’, la Fiat Tipo station wagon: parliamo di auto da 15-20mila euro, altro che macchine di lusso! Chi le acquistera’ a partire dai prossimi mesi avra’ una tassa aggiuntiva rispetto al prezzo dell’auto di ben 1.100 euro. Per alcuni lavoratori equivale a una mensilita’ di stipendio! Si tratta della stessa tassa che paghera’ chi acquistera’ alcuni modelli di Jaguar, a proposito di equita’. Alcune versioni della Fiat Doblo’, una macchina da 20mila euro, arriveranno a dover pagare addirittura 1.600 euro di nuova tassa. Una follia che non ha nulla a che vedere con l’ambiente, nulla a che vedere con la tassazione solo di suv e auto di lusso, come dicono mentendo i ministri M5s e Lega. Se vogliono parlare di inquinamento, ci diano i dati su quanto inquinano i grandi bus a diesel, i pullman, i tir italiani e stranieri che transitano nelle nostre strade. Se il Governo trova i soldi per incentivare le auto pulite fa bene, ma non si capisce perche’ questo debba accompagnarsi a una super tassa sulle famiglie, a partire da quelle meno abbienti: una stangata che non ha precedenti”.

Meglio di così al governo di Salvini e Di Maio non poteva andare. L’assenza di una opposizione in grado di smascherarne le contraddizioni favorisce infatti questo Esecutivo che si distingue per incompetenza e improvvisazione. I numeri dell’economia e dell’occupazione sono ancora più drammatici. Non è stato ancora adottato alcun provvedimento in grado di incidere sui meccanismi vitali del Paese. In compenso vengono agitati gli spettri dell’ondata migratoria, della conseguente invasione dei ‘neri’ e della pericolosità dei vaccini. Armi di distrazione di massa che servono per tirare a campare e per nascondere il fallimento di una esperienza governativa che rimarrà alla storia per somma inconcludenza. Della flat tax e del reddito di cittadinanza non vi sono tracce. Ma dov’è l’opposizione del Pd, di Forza Italia e delle altre forze politiche di sinistra e comunque antagoniste a questo governo? Che fine hanno fatto? Come trascorrono le giornate i loro esponenti?

“E’ opportuno che tutte le istituzioni di garanzia e di controllo, cosi’ come le organizzazioni internazionali, vigilino affinché l’autonomia e l’indipendenza dell’informazione pagata dal canone di tutti gli italiani non finiscano sotto il controllo del Governo, altrimenti si verificherebbe un abuso senza precedenti che lede diritto al pluralismo e garanzie costituzionali. E’ quanto scrive il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi, segretario della commissione di Vigilanza Rai, in una lettera inviata al presidente Agcom, Angelo Cardani, al presidente Ebu, Jean-Paul Philippot, alla vicepresidente Ebu, Monica Maggioni, al presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Verna e all’organizzazione Reporters sans frontieres, insieme ad un dossier con gli articoli sulle nomine Rai usciti sui giornali italiani.Le notizie diffuse dalla stampa – prosegue Anzaldi nella lettera – in merito alle procedure di rinnovo dei vertici del servizio pubblico radiotelevisivo italiano sono molto preoccupanti. I quotidiani danno notizia di un vertice tenutosi a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio Conte, i vicepremier Salvini e Di Maio, il ministro Tria, durante il quale sarebbero avvenute trattative per la scelta dei direttori dei telegiornali Rai. La legge italiana, sostenuta dalle sentenze della Corte Costituzionale, impedisce al Governo di influire sulle scelte editoriale del servizio pubblico, men che meno affida ai ministri la scelta dei direttori delle testate giornalistiche. Affinchè abbiate gli elementi per le opportune valutazioni, nell’allegato vi invio una sintetica rassegna stampa degli articoli usciti sui quotidiani italiani che confermano la spartizione avvenuta nella sede del Governo italiano, spartizione peraltro annunciata ufficialmente addirittura dal presidente Conte’

“Siamo alla definitiva dissociazione tra parola e politica. In politica ormai la parola non conta più nulla. Si può andare in campagna elettorale dicendo mai alleanze e poi fare il contrario il giorno dopo. Si può dire che Alfano, eletto con la coalizione di centro destra, è un voltagabbana se governa con il Pd e dire che Salvini, eletto con la coalizione del centro destra, è un politico responsabile che avvia la terza Repubblica se governa con il M5s”. Lo scrive Matteo Richetti del Pd su Facebook. “Si può dire – aggiunge – che quando gli avversari formano un Governo il premier non è eletto dal popolo. Se con la stessa dinamica il Governo lo fai tu, allora è voluto e amico del popolo. Si può dire che la Lega nord è incompatibile con la tua forza politica per tutti i soldi che si è intascata e farci un Governo il giorno dopo perché limportante è arrivare al potere”. “Si può continuare a dire agli italiani che tutto sta cambiando, proprio nel momento in cui nulla, ma proprio nulla, è diverso dai peggiori giochini che la politica ci ha offerto in passato. Le parole non contano più nulla. Si possono usare a piacimento. Che tanto, in fondo, domani è un altro giorno. Con le sue nuove, incoerenti parole”, conclude.

“Sulle questioni piu’ delicate, piu’ difficilmente realizzabili, stanno annacquando un po’ i contenuti della proposta. Si parla di aliquote fisse invece che la flat tax, e mi chiedo, rispetto alla situazione attuale, cosa cambi sulla fiscalita’. Si parla di un reddito di cittadinanza che non si realizza fino a quando non c’e’ la riforma per i centri per l’impiego. Mi pare che gradualmente ci sia la consapevolezza che tutto cio’ che si era promesso costituisce indebitamento importante e quindi si alleggerisce, e cio’ che puo’ diventare bandiera viene messo come contenuto principale. È una feroce operazione di potere, questo e’ evidente”. Lo ha detto a Sky TG24 Mattina il responsabile della comunicazione del Pd Matteo Richetti, in merito all’accordo di governo tra M5S e Lega. Rispondendo alla domanda se il Pd abbia fatto bene a interrompere il dialogo con il M5S per la formazione di un nuovo esecutivo, Richetti ha spiegato: “La discussione di questi giorni sembra sempre piu’ una discussione tra aziende che devono costruire un piano industriale e non una discussione tra forze politiche che devono condividere un’alleanza su valori e proposte. Anche questo e’ un elemento che allontana la nostra parabola politica, che spero sia di ripresa al piu’ presto, da quello che stiamo vedendo”.

“Secondo il sondaggio Index per Piazzapulita, il 40% degli italiani pensa che la colpa dello stallo in cui da oltre 60 giorni si trova l’Italia sia di Luigi Di Maio, seguito da Berlusconi (30%). E’ il leader M5s il principale responsabile della palude che blocca il parlamento da due mesi, con mille deputati pagatissimi per non fare nulla”. Lo scrive su Facebook il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi. “La credibilità di Di Maio – prosegue Anzaldi – da giorni processato sui social dai suoi militanti e in caduta libera nel gradimento dei sondaggi, è stata spazzata via oltre che dalle continue bugie anche da settimane di riti da Prima Repubblica, tra politica dei due forni, inciuci mascherati, spartizioni e arrivismo di chi è pronto a rinunciare a tutto, anche alle idee del proprio programma elettorale, pur di arrivare alla poltrona di Palazzo Chigi. Dopo il fallimento totale della sua strategia, in un partito normale e democratico avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni”.