commercio

Dopo la brusca frenata del 2020, l’imprenditoria femminile torna a correre: nel 2021 si registrano 7.294 imprese attive in più (+0,6%), una crescita che riporta il totale di imprese rosa ai livelli pre-pandemia. Ma la crescita non è omogenea: commercio al dettaglio e ristorazione, tra i comparti più colpiti dalla pandemia, continuano a soffrire e perdono quasi 2mila attività in 12 mesi. È quanto emerge dalle elaborazioni condotte dall’Ufficio economico Confesercenti su dati camerali di natimortalità delle imprese in occasione della Giornata Internazionale della Donna. L’analisi territoriale mostra una crescita diffusa di imprese rosa, in aumento in 17 regioni su 20. L’incremento è stato più rapido in Trentino, Lombardia (rispettivamente +1,7% e +1,6%), Sicilia e Puglia (+1,2%), mentre tra le regioni che hanno registrato una riduzione delle imprese femminili, la discesa è risultata più rapida nel Lazio (-1,7%). Il ritorno alla crescita dell’imprenditoria femminile si accompagna ad una tendenza al consolidamento organizzativo. Ad aumentare sono infatti soprattutto le consistenze delle società di capitale (+4,1% a fine 2021) – con il settore dell’alloggio sopra la media nazionale (+5,5%) – mentre si riduce invece il numero di società di persone (-1,7% rispetto al 2020). La ripresa nasce dunque dalle società di capitali, tipologia di azienda più strutturata e “robusta” sotto il profilo organizzativo e gestionale. “Nonostante le difficoltà, le imprenditrici hanno dimostrato di sapere mettersi in discussione e creare opportunità per loro stesse e per gli altri, fornendo un contributo fondamentale alla ripresa e all’economia. Un contributo che si traduce non solo in un aumento del Pil, ma anche in una maggiore consapevolezza sui temi della responsabilità sociale e della sostenibilità, molto sensibili per le donne”, commenta la Presidente di Impresa Donna Confesercenti Barbara Quaresmini. “È però necessario fare di più per sostenere le imprese al femminile, che sono ancora solo il 22,6% del totale. Confesercenti sta studiando linee di credito dedicate alle donne, per rafforzare ulteriormente il servizio di accesso al credito dell’associazione, già ben strutturato e a disposizione dalle sedi territoriali. Ma sarà fondamentale anche utilizzare fino in fondo le risorse messe a disposizione dal PNRR per l’imprenditoria femminile, un fronte su cui Confesercenti sta profondendo il massimo impegno, non solo partecipando ai tavoli istituzionali, ma progettando anche iniziative ad hoc”.

Gli scambi con la Cina per la Lombardia nel 2017 hanno avuto un valore di 15,7 miliardi, 11,8 miliardi di import e quasi 4 miliardi di export. In un anno l’export lombardo verso la Cina ha registrato un incremento del 9,9%, con un import che prosegue nella crescita: +1,6%. Secondo una elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, prima per scambi e’ Milano con oltre 7 miliardi, poi Lodi con 1,8 miliardi, a seguire Bergamo, Monza, Brescia e Varese con oltre un miliardo. Primi settori di scambio: computer e apparecchi elettronici con 3,2 miliardi, tessile e moda con 2,5 miliardi (+5%), macchinari con 2,2 miliardi (+1,4%) e apparecchi elettrici e metalli con 1,5 miliardi (rispettivamente +10% e +0,6%). Seguono con 1,2 miliardi i prodotti delle altre attivita’ manifatturiere tra cui mobili, gioielleria e design (+8%) e la chimica (+11%). Crescono mezzi di trasporto (537 milioni, +27%) e alimentari (160 milioni, +18,5%).

La Brexit e’ un esempio unico di globalizzazione, che colpira’ l’economia britannica indebolendo i legami commerciali con l’Unione Europea e portera’ a maggiori pressioni inflazionistiche anche dopo la fine dell’effetto del recente deprezzamento della sterlina. Lo ha detto il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, intervenuto quest’anno al Fondo monetario internazionale, a Washington, come relatore della conferenza “Michel Camdessus Central Banking Lecture”.
Carney, riferisce il “Financial Times”, ha spiegato che anche se l’intenzione non fosse quella di chiudere il Regno Unito rispetto al resto del mondo, inizialmente l’esito principale sara’ proprio una chiusura, perche’ i legami commerciali con L’Europa saranno danneggiati e ci vorra’ tempo per stringere nuove relazioni con altri paesi. Cio’ comportera’ prezzi piu’ alti per i consumatori e un probabile aumento dei tassi di interesse per tenere l’inflazione sotto controllo. “Sara’, almeno per un periodo di tempo, un esempio di deglobalizzazione”, ha sintetizzato il governatore della Banca d’Inghilterra.

Il gruppo del G7 ha fatto progressi nei negoziati sul commercio, in particolare sul tema del multilateralismo. Lo rende noto una fonte presidenziale francese lasciando intendere che vi sia stato un ammorbidimento nella posizione protezionistica da parte degli Stati Uniti. I leader del G7 hanno discusso sulla formulazione di un comunicato finale in cui il commercio internazionale e la lotta ai cambiamenti climatici sono il maggior ostacolo. “Le discussioni sul commercio stanno compiendo notevoli progressi soprattutto sul tema del multilateralismo”, ha confermato la fonte francese.

Donald Trump ha firmato due ordini esecutivi che aprono ai dazi commerciali e favoriscono il made in Usa. Il presidente degli Stati Uniti ha chiesto al segretario del commercio un rapporto sulle pratiche commerciali dei partner, paese per paese e prodotto per prodotto, all’origine del deficit della bilancia americana pari a 500 miliardi di dollari. Il documento costituirà la base delle azioni presidenziali per cancellare il deficit.

“Tra blog, e-commerce e social network, il sistema moda passa anche dal web: in 10 anni la quota di italiani fashion addicted che acquistano abbigliamento e articoli sportivi on line è passata dal 16,9% del 2005 al 37,1% del 2015. Con aumenti più importanti in Liguria, Sardegna e Valle d’Aosta. Si tratta del settore che fa registrare i numeri più alti tra gli acquisti in rete degli italiani che invece un decennio fa erano più orientati al mondo dell’elettronica (circa il 30% infatti comprava in internet componenti elettronici, tra hardware e attrezzature hi tech). Il dato emerge da una elaborazione dell’Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati Istat. Le donne battono gli uomini, rispettivamente il 41,7% contro il 33,7%. Le fashion addicted più orientate allo shopping in rete sono le ragazze con meno di 24 anni: più del 51% acquista attraverso e-commerce o app dedicate, abiti o accessori di moda. “Se si considerano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione impiegate dalle imprese italiane con almeno 10 addetti, nel 2016 circa 1 attività su 4 attiva nel comparto delle industrie tessili, dell’abbigliamento, e della confezione di articoli in pelle e simili dichiara di utilizzare almeno un social media nella propria azienda, principalmente per sviluppare l’immagine dell’impresa o del prodotto”, si legge nello studio. La comunicazione attraverso social network nel comparto della manifattura tessile risulta in crescita rispetto a tre anni fa: nel 2013 le imprese di “confezione” che utilizzavano almeno un “social” erano il 20,2% del totale contro il 24,9% del 2016.

“Buy American, hire American’ (compra americano, assumi americani): e’ lo slogan “protezionistico” lanciato dal presidente eletto Donald Trump nel suo ultimo comizio a Des Moines, in Iowa, terza tappa del suo ‘thank you tour’ post-elettorale. “Il lavoratore americano ha costruito questo Paese e ora e’ tempo per i lavoratori americani di avere un governo per la prima volta in decenni che risponde alle loro esigenze”.

Il numero dei fallimenti delle imprese italiane continua a diminuire. Dopo gli ultimi anni caratterizzati da un aumento dei fallimenti, con il picco nel 2014, per un totale di 15.336 chiusure, l’inversione di tendenza si conferma con i dati del terzo trimestre del 2016. Le imprese che hanno portato i libri in Tribunale sono 2.704, numeri che registrano un calo del 4,4% rispetto ad un anno fa e del 7,8% rispetto al 2014. Il settore del commercio è quello più colpito con 1.680 imprese fallite nel 2009 e 3.041 nel 2016. Meno colpito il settore dei servizi con 1.500 imprese chiuse nel 2016, ma erano 626 nel 2009. Dall’inizio del 2016 sono complessivamente 10.047 le imprese fallite nel settori commercio, industria, servizi, edilizia ed altro, con una media di 52 chiusure al giorno. Confrontando però lo scenario attuale con quello del 2009 i fallimenti sono cresciuti del 58,9%, segnale che dimostra ancora di essere lontani dai livelli pre crisi. I dati sono contenuti nell’Analisi dei fallimenti in Italia, aggiornata a fine settembre 2016, realizzata da Cribis D&B, società del Gruppo Crif. “Attualmente il segnale più positivo per le nostre imprese è il cambio di trend dopo anni caratterizzati da un costante aumento del numero dei fallimenti, che hanno colpito principalmente il settore del commercio al dettaglio”, commenta Marco Preti, amministratore delegato di Cribis D&B. Preti sottolinea anche un miglioramento dello stato di salute delle imprese dal 2015. “In un solo anno -afferma – i ritardi gravi nei confronti dei fornitori, giunti oltre il mese di ritardo, sono calati del 13,1%, un altro indicatore che fa ben sperare per la ripresa economica”. Tuttavia “il confronto con il 2009 rimane preoccupante” perché “dal 2009 ad oggi la percentuale dei fallimenti è cresciuta del 58,9%, del 32,2% rispetto al 2010”. La distribuzione sul territorio nazionale dei fallimenti è strettamente correlata alla densità di imprese attive nelle diverse aree del Paese. “La Lombardia con una incidenza sul totale Italia del 20,2%, si conferma la regione d’Italia con il maggior numero di fallimenti con 2.091 casi nel corso del 2016. Dal 2009 ad oggi si contano 21.494 imprese fallite”, si legge nell’analisi territoriale. Il Lazio è la seconda regione più colpita “con 1.145 imprese chiuse nel 2016 e un’incidenza sul totale Italia dell’11,8%”. Segue il Veneto con 873 casi e incidenza del 8,7%. A completare dietro il Veneto le prime dieci posizioni le regioni: Campania (854 fallimenti), Toscana (817), Emilia Romagna (745), Piemonte (681), Sicilia (641), Puglia (460) e Marche (312).

Un altro fallimento in campo economico per il governo Renzi, quello certificato oggi dall’Istat. Le esportazioni da parte delle aziende italiane registrano infatti una flessione superiore al 7% su base annua, segnale evidente di una mancata competitivita’ dei nostri prodotti. Nonostante il premier continui a favoleggiare di una presunta riduzione della pressione fiscale, i numeri dicono il contrario: si tratta del peggior calo nelle esportazioni degli ultimi sei anni, e la principale ragione di una tanto elevata perdita di competitivita’ e’ da ricercare nel fatto che anche le imprese, oltre ai cittadini, sono state massacrate da una quantita’ insostenibile di tasse, oltre a venire soffocate dalla burocrazia. Ennesima dimostrazione di quanto questo esecutivo sia dannoso per il Paese, ennesima spinta a dire No a Renzi e alla sua riforma, che non farebbe altro che peggiorare ancora di piu’ una situazione gia’ oggi insopportabile”. Così il sen. Roberto Calderoli, Vice Presidente del Senato e Responsabile Organizzazione e Territorio della Lega Nord.