Famiglia Cristiana

‘Sto facendo fare delle verifiche a un notaio, ma pare che sia proprio così”. Claudio Baglioni compirà 70 anni il 16 maggio e, in un’intervista a Famiglia Cristiana, ironizza sul suo compleanno, ripercorrendo la sua carriera attraverso i versi delle sue canzoni. ”Non so com’è cominciata – afferma – forse ascoltando una radio. La mia prima maestra di canto è stata una radio a valvole che ho ancora. Per me era come una scatola magica con un occhio che si illuminava di verde quando raggiungeva la sintonia. La pratica poi l’ho fatta quando andavamo a trovare i nostri parenti in Umbria. A volte ci donavano qualche coniglio o qualche gallina e al ritorno in treno, per non farci accorgere della loro presenza, io, mio padre e mia madre cantavamo per tutto il tempo”. I ricordi di Baglioni risalgono agli anni dell’infanzia, al padre ”brigadiere che scrive poesie. Sì, qualcuna l’ha dedicata pure a me. Descriveva la gioia che provava tornando dal turno di notte quando trovava il suo ragazzino che ancora dormiva. Le ho lette molto tempo dopo, anche quando lui non c’era già più”. Il cantautore ricorda anche la madre, citando la sua canzone ”51 Montesacro’: ”Era una sarta, e io mentre cuciva andavo da lei. Nell”82, arriva ‘Avrai’ dedicata alla nascita del figlio Giovanni, anche lui musicista affermato: ”La musica è stata ed è un cemento molto importante nel nostro rapporto. Anche perché non sono stato sempre un padre molto presente”. Ancora, i temi sociali nei pezzi come ‘I vecchi’, ‘Uomini persi’, ‘Naso di falco’ e ‘Noi no’, quest’ultima, scritta dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino, ”era una canzone su un generico desiderio di libertà. Qualche settimana dopo le stragi feci un concerto allo stadio La Favorita di Palermo. Il pubblico prima iniziò a cantare ‘Chi non salta un mafioso è’ e poi, con mia grande sorpresa, ‘Noi no’. La cosa si è ripetuta e ovviamente mi ha fatto molto piacere”. Il cantautore, che per dieci anni hai organizzato a Lampedusa O’ Scià, un festival nato per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’immigrazione clandestina, passa poi a parlare dell’ultimo naufragio nel Mediterraneo: buttare quintali di arance e quando chiedo spiegazioni mi rispondono con la legge della domanda e dell’offerta. Razionalmente lo capisco, ma nel profondo no: vedo solo tanta roba buona che viene distrutta. Di fronte a tante spiegazioni della politica e dell’economia, alzo le mani e confesso di non capire”. Tante volte mi sono chiesto che senso abbia fare un nuovo disco, tanto quelli di prima saranno sempre migliori, perché hanno una storia, perché contengono tutte le vite di chi li ha ascoltati. Ma gli ottimi riscontri che ha ricevuto il mio ultimo album mi hanno rincuorato e mi spronano ad andare avanti. Da un punto di vista umano, ora ho molto netta la sensazione che il futuro che mi aspetta non sia equivalente al passato che ho alle spalle. Alcune cose non torneranno più, se non attraverso i ricordi, attraverso una sana nostalgia. Per il resto, sono ancora un curioso della vita”.

“Nel film sul caso Orlandi scompare anche la verita’”: è il titolo con cui il giornale Famiglia Cristiana nel sito online apre un articolo dedicato al film di Roberto Faenza “La verità sta in cielo”, che tratta il caso di Emanuela Orlandi, la giovane cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno del 1983. “Delle decine di piste sul rapimento della quindicenne – sottolinea il settimanale cattolico – si e’ preferito attingere al complotto vaticano e alle rivelazioni-spazzatura di personaggi poco o punto credibili che arrivano a infangare persino la memoria del cardinale Casaroli”.  Scrive Francesco Anfossi: “Della vicenda della ragazza quindicenne, figlia di un commesso della Famiglia Pontificia e cittadina vaticana, scomparsa il 22 giugno 1983 dopo essere uscita dalla scuola di Sant’Apollinare, a due passi dal Senato, dove andava a lezione di musica, sono dedicate poche scene. Raccontano l’angoscia in cui precipita la famiglia e gli ostacoli riscontrati fin dalle prime ricerche, anche perché Emanuela è cittadina vaticana”. Continua l’autore della critica al film: “Faenza preferisce concentrarsi sulla trama delle indagini e sceglie la tesi precostituita. Delle decine di piste inseguite dagli investigatori in oltre 30 anni di inchieste, tutte concluse con un nulla di fatto, il regista intreccia quelle che finiscono direttamente dentro il Vaticano. Le più improbabili, ma anche le più adatte a costruire una trama sostanzialmente ideologica e anticlericale”. L’articolo punta sulla trama e sulle scene del film smontandole pezzo dopo pezzo per arrivare alla figura della Chiesa chiamata in causa perché la Orlandi era cittadina vaticana. “Tra tanti demoni nel film – scrive Anfossi – compare e scompare qualche angelo, nei panni immaginari di un anonimo prelato o di un reverendo che gioca a rimpiattino. Questi prelati “buoni” sono una sorta di “deus ex machina” cinematografico per sostenere l’assunto del film, che è quello di una Chiesa “pre” e una Chiesa “post” Bergoglio, una rigorosamente opaca, torbida e corrotta, l’altra carica di speranza, che poi è l’interpretazione conformista mainstream di molti laici che la Chiesa non la conoscono e soprattutto non la capiscono”.