indipendenza

“Sia chiaro: nessun paese europeo riconoscerà la Catalogna indipendente”. Lo ha detto il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, intervenendo a Firenze, alla festa del quotidiano ‘Il Foglio’.
Intanto continua la linea dura tra Barcellona e Madrid sull’indipendenza della Catalogna. Dopo la decisione del governo spagnolo di avviare la procedura di commissariamento della regione, con l’attivazione dell’articolo 155 della Costituzione, il presidente della Generalitat Charles Puidgemont, che lo ha definito un colpo di Stato, ha chiesto la convocazione di una riunione del Parlament. Il ministro degli Esteri spagnolo, Alfonso Dastis, ha negato che il ricorso all’articolo 155 in Catalogna possa configurarsi come un golpe. “Se c’è qualcuno che ha tentato un golpe, è stato il governo regionale catalano”, ha detto Dastis in una intervista alla Bbc. Per Madrid il referendum della Catalogna sull’indipendenza è illegale. “Le altre democrazie e i partner dell’Unione Europea, non accetterebbero che tali decisioni vengano prese da una parte del paese”, ha aggiunto il ministro riguardo all’obiettivo indipendentista catalano.

Il referendum ilelgale del primo ottobre “non è stato un’azione innocente o democratica”, ma era parte “di una strategia politica per imporre l’indipendenza”. Lo ha detto in parlamento il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, aggiungendo che “nessun risultato di questo referendum può dare legittimità politica” a pretese di secessione. Rahoy ha parlato di piano “antidemocratico” fin dalla sua origine.

“La storia non deve ripetersi e speriamo che domani non si dichiari nulla, perché rischia di finire come chi lo ha fatto 83 anni fa”. Lo ha detto il vicesegretario del Pp, Pablo Casado, in un duro avvertimento al presidente della Generalitat catalana Carles Puigdemont, che domani potrebbe dichiarare l’indipendenza della Catalogna. Il riferimento è al carcere, come accadde a Lluís Companys, leader della formazione politica Esquerra Republicana e presidente della Generalitat dal 1934 e durante la Guerra civile spagnola, arrestato e successivamente mandato in prigione.

“In difesa della democrazia, la Costituzione e la liberta’. Preserviamo l’unita’ della Spagna Non siete soli”: con questo messaggio, il premier spagnolo Mariano Rajoy, ha incitato via Twitter i manifestanti raccolti a Barcellona a favore dell’unita’ della Spagna. Il capo del governo spagnolo ha cominciato il ‘cinguetto’ con l’hashtag #RecuperemElSeny, che rilancia lo slogan (Recuperiamo il buon senso), parola d’ordine dei cittadini riuniti a Barcellona. La marcia e’ stata convocata da Societat Civil Catalana, a due giorni dall’atteso discorso che il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, pronuncera’ nel Parlament, un discorso sulla “situazione politica attuale”, ma con la dichiarazione di indipendenza sul tavolo. In un ‘tweet’ di poco precedente il premier spagnolo aveva ripetuto che il governo di Madrid “impedira’ l’indipendenza della Catalogna”.

E’ piaciuto a pochissimi il discorso del re Filippo VI, Felipe figlio di Juan Carlos, trasmesso in tv. Nessun riferimento agli scontri e alle violenze che si sono avute a Barcellona tra la Guardia Civil e i manifestanti pro indipendenza della Catalogna. Felipe ha parlato di ‘slealta’ inaccettabile dalle autorita’ catalane’ e non ha ammesso alcuna possibilita’ per la concessione dell’indipendenza che verra’ comunque proclamata dagli ideatori e sostenitori del referendum. Lo stesso primo ministro spagnolo Rajoy si e’ dimostrato inflessibile. Il re ha insistito sui concetti di Costituzione, unita’ dello Stato e democrazia. Un vero e proprio muro contro muro quello tra Madrid e Barcellona, che non lascia presagire nulla di buono e che puo’ portare ad altre violenze, a scontri e sangue per le strade. Difficile se non impossibile una mediazione. La stessa Unione Europea, che parteggia per Madrid e per il governo centrale, se ne e’ lavata le mani, con un generico richiamo all’autodeterminazione dei popoli. In questo clima infuocato si sono succeduti gli inviti al dialogo e alla pace, ma questo match non prevede un pareggio bensi’ solo la vittoria dell’una parte o dell’altra. Non si doveva arrivare a questo punto. La vera sconfitta e’ quella della politica e della diplomazia e la vittoria dell’oltranzismo e della violenza. Alfonso Lo Sardo

Finora non era considerato un’arma utile nelle mani di Madrid per gestire la crisi catalana, ma la linea dura scelta da Barcellona, che si prepara a dichiarare l’indipendenza, e il sostanziale via libera del re Felipe VI, che ieri in un discorso durissimo ha detto che è “responsabilità dei poteri legittimi dello Stato garantire l’ordine costituzionale” l’ha riportato d’attualità. E’ l’articolo 155 della costituzione spagnola, agitato da giorni come uno spettro dal governo di Mariano Rajoy, mai applicato e finora osteggiato apertamente dalle opposizioni. Ieri ne ha parlato la vicepremier Soraya Sáenz de Santamaría: “il governo ha pronto ogni mezzo per proteggere il popolo di Catalogna, il cui interesse generale è il più danneggiato”. Il richiamo all'”interesse generale” è un riferimento esplicito all’articolo 155, che recita: “Se una comunità autonoma non rispetta gli obblighi che la Costituzione o altre leggi le impongono, o agirà in modo da attentare gravemente all’interesse generale della Spagna, … con l’approvazione della maggioranza assoluta de Senato, potrà adottare le misure necessarie per obbligarla a rispettare forzosamente gli obblighi e per proteggere l’interesse summenzionato”.

“L’autonomia e’ il contrario dell’indipendenza. Ci danno un po’ di soldi solo per non farci andar via. Ma il nord si sta deindustrializzando, le aziende chiudono. Quindi per necessita’ anche noi indipendentisti ci accontentiamo dell’autonomia che vuole Salvini”. Lo afferma Umberto Bossi in un’intervista al settimanale OGGI in edicola da giovedi’ 5 ottobre. “In concreto – prosegue – se la Lombardia avesse lo statuto speciale come Trentino, Friuli, Sicilia o Sardegna, recupereremmo la meta’ dei 57 miliardi annui di residuo fiscale che oggi lo stato trattiene. E l’economia ripartirebbe”. Sul referendum della Catalogna il Senatur aggiunge: “Lo stato-nazione, in Spagna come in Italia, e’ in crisi. Madrid ha tradito le aspettative. Lo stato centrale trasforma le democrazie in monarchie. Tutti ora pensano che il problema sia l’Europa. Ma in realta’ il problema e’ lo stato centrale”.

“Io credo che un indipendentista possa giocare nella selezione spagnola. Noi non siamo contro la Spagna, perché un indipendentista non potrebbe giocare con la Spagna? Siamo tutti uguali, vogliamo tutti giocare e vincere”. Gerard Piqué, difensore del Barcellona e della nazionale spagnola, parla in conferenza stampa alla vigilia del match di qualificazione mondiale contro l’Albania ma, ovviamente, l’argomento è un altro. “Sono qui da 15 anni – dice – considero la nazionale una famiglia. Sono molto orgoglioso di essere nella squadra spagnola e mi fa male che qualcuno dubiti del mio impegno”. I fischi dei suoi stessi tifosi non sono nuovi, ma quelli ricevuti negli ultimi due giorni lo hanno segnato. Domenica si è recato alle urne per votare al referendum, come hanno fatto anche altri ex campioni del Barcellona, Xivi Fernandez e Carles Puyol. “Il primo giorno – aggiunge – è stato difficile perché non ti piace che le persone siano contro di te. Ricevere fischi e insulti non è bello per nessuno. Ma se me ne andassi per questo significherebbe cedere”. Insomma si può indossare la maglia della Spagna pur essendo un indipendentista catalano. “Non mi pento di quello sento. Siamo nel mondo e siamo persone. E’ impossibile che tutti la pensiamo allo stesso modo. Sono a favore del fatto che la gente possa votare sì o no o scheda bianca”, insiste Piqué. “Voglio dire a tutta la Spagna che tramite il dialogo, il rispetto e la coerenza tutto può risolversi. Sono qui perché il ct e i miei compagni vogliono che resti con loro, perché posso aiutarli a raggiungere un obiettivo che inseguiamo da un anno. Se battiamo l’Albania saremo qualificati al Mondiale”. Il difensore blaugrana dice anche di avere “rispetto” per chi non la pensa come lui, come l’altro simbolo dello sport spagnolo, Rafael Nadal. Il tennista ritiene che i catalani non abbiano il diritto di votare: “Siamo giocatori, ma prima di tutto siamo persone. Ma capisco anche quelli che non vogliono parlare della politica”. Tuttavia, sottolinea, “Spagna e Catalogna sono come padre e figlio, dove il figlio a 18 anni chiede di andare via di casa… È come se non venisse considerata la realtà della Catalogna. Potete non essere d’accordo con noi, ma la nostra opinione va rispettata. Perché noi esistiamo. Molta gente ci appoggia anche se non viene detto. La gente segue solo una comunicazione in tv, la gente non capisce cosa stiamo passando. Ho parenti e amici, la mia famiglia, lì che soffre per questa situazione”. Quanto al re e al suo messaggio, è meglio glissare: “Non l’ho ascoltato, mi stavo allenando”.