La ‘versione’ di Ugo Barbàra, siciliano ‘in aspettativa’

Interesse privato in atti d’ufficio. Un tempo era un reato ma sono contento che sia stato abolito. In questo caso mi sarebbe stato contestato con certezza. Sì, perché questa intervista a Ugo Barbàra nasce dalla lettura di un bellissimo suo libro – ‘Desidero informarla che le abbiamo trovato un cuore” – e dal desiderio di leggere al piu’ presto gli altri, oltre ad altri piccoli particolari, come quello di essere coetanei (1969, annata magica), avere frequentato lo stesso liceo (Umberto I di Palermo) e di essere un suo collega. Ecco, ora che ho spiegato il contesto da cui nasce questa breve e simpatica intervista, spero mi concederete le attenuanti generiche. Aggiungo solo che Ugo Barbàra é una persona squisita, dalla gentilezza autentica e che vi esorto a leggerlo, qui sotto e nei suoi libri.

Qual è il libro più bello che ha mai letto? Esiste forse una domanda piu’ stupida di questa? No. È proprio per questo che Le chiediamo: quali sono i suoi tre libri preferiti e perché?

‘Piccola premessa: non è affatto una domanda stupida. Io, ad esempio, non riesco a impedirmi di giudicare le persone (anche) in base al fatto che gli sia piaciuto o meno ‘La versione di Barney’. Poi questa cosa dei libri più belli va strettamente correlata al momento in cui vengono letti. Ma voglio accettare la sfida e mi lancio: ‘Cent’anni di solitudine’; ‘Uomini e topi’ e, per l’appunto, ‘La versione di Barney’.

Lei è uno scrittore e un giornalista. Qual è il suo giudizio sul nostro Paese, da entrambe le prospettive? Cosa c’è’ ancora di poetico in Italia e cosa di prosaico?
‘Nei momenti peggiori, quelli in cui arrivo a pensare che questo Paese è spacciato, che non c’è più speranza, che è corrotto fin nel midollo e che l’unica cosa possibile è fuggire, Roma mi regala una di quelle giornate in cui il cielo si tinge di un blu che non esiste da nessuna altra parte e ogni angolo della città si immerge in un colore che nessun filtro fotografico potrebbe rendere più incantato e incantevole. Ecco, è in quel momento che scopro che tutta la bellezza che ci circonda può rendere poetica anche la realtà più prosaica’.

Da siciliano che ha deciso di vivere a Roma, la Sicilia appare sempre una terra irredimibile o vi è qualche speranza?

Nessun luogo è perduto finché non è perduta la gente che lo abita. Sta solo ai siciliani decidere cosa fare del loro futuro e di quello della Sicilia. Io, però, ho scelto di non fare parte della partita. Mi è stato rinfacciato più volte, ma ormai ho passato più anni lontano che nella terra in cui sono nato e mi sembra una polemica sterile quanto quella sulla fuga dei cervelli’.

Nel suo libro ‘Il corruttore’ Vittorio Tanlongo, avvocato senza scrupoli, deve fronteggiare l’incorruttibile Ruggero Pietrasanta. Quali sono le responsabilità della cultura e degli intellettuali dinnanzi al dilagante fenomeno delle bustarelle nel nostro Paese?

‘Non mitizziamo le figure degli intellettuali. Sono corruttibili e in vendita tanto – e forse più – di amministratori e politicanti vari. Non ho una passione per i tribuni del popolo che poi pensano solo ai propri interessi. Nessuno ha un ruolo più impegnativo di qualcun altro. Ognuno è chiamato a fare la propria parte, senza aspettare esempi di seguire e bandiere dietro le quali schierarsi’.

Nel racconto quotidiano e in tempo reale di ciò’ che accade, quali sono i meriti del giornalismo di oggi e quali i suoi demeriti?

‘Il merito principale del giornalismo è di non essere cambiato. Ma è anche il suo demerito e può essere la sua condanna, Si parla tanto di giornalismo partecipativo, di citizen journalism, ma chi crede che non ci sia più bisogno di un mediatore tra l’informazione e il pubblico prende un enorme abbaglio. E altrettanto sbaglia chi pensa che il giornalista e il giornalismo, per riaccreditarsi di fronte a lettori, ascoltatori e spettatori, non abbia bisogno di recuperare una funzione aspramente critica. Il giornalismo deve cambiare per tornare a essere se stesso, non per inseguire mode e mercati ai quali ha già dimostrato di non riuscire a star dietro né a tenere testa’.

Giornalismo e social media: è un abbraccio mortale?

‘Assolutamente. Specie se si considera che il grosso dei lettori afferma di informarsi attraverso i social network, ma spesso non sa distinguere tra una testata credibile (accreditata, se vogliamo usare questa orribile parola) e lercio.it

Violenza sulle donne e rigurgiti maschilisti, xenofobia e razzismo: che tempi ci attendono? Politica inadeguata e sorda. Cosa ci può salvare? Su cosa scommettere?

Una società in crisi cerca di ricostruirsi una identità nel modo più facile e veloce: con la violenza. Verbale, fisica, psicologica: non importa in quale forma. Ma non possiamo pensare di affrontare questi temi se prima non troviamo una vera via d’uscita da una crisi che – sembra una banalità, ma è una banale verità – è di valori prima ancora che economica.

Librerie e biblioteche: che luoghi sono diventati? È corretto definirli ‘non luoghi’, parafrasando Auge’?

‘Sono Luoghi con la ‘l’ maiuscola più di quanto non lo siano mai stati. Ma le librerie vere – quelle indipendenti, con librai e non semplici commessi – e le biblioteche dei piccoli centri e di quartiere – non quei marasmi che sono le centrali che diventano castelli kafkiani in cui l’essenza si perde come un buon profumo in una latrina.

Chi dovrebbe vincere il prossimo Nobel per la Letteratura?

J.K. Rowling: una scrittrice che in dieci anni ha fatto per la lettura più di quanto siano stati capaci di fare letteratura e letterati in cinquant’anni.

Ugo Barbàra, giornalista e scrittore, é nato a Palermo il 21 ottobre 1969. Dirige la redazione New Media dell’Agenzia Giornalistica Italiana. Dal 1999 al 2010 si è occupato di politica estera. In precedenza è stato corrispondente da Palermo negli anni del processo Andreotti (1995 -1999), nonché redattore di cronaca giudiziaria a Roma all’epoca di Tangentopoli. Ha frequentato l’Ifg di Urbino e si è laureato in Lettere Moderne all’Università di Palermo. Ha insegnato scrittura creativa all’Università La Sapienza di Roma e a Roma Tre. Ha scritto sei romanzi. Cinque sono stati pubblicati da Piemme: “Desidero informarla che le abbiamo trovato un cuore” (1999); “La notte dei sospetti” (2001); “Il corruttore” (2008) e “In terra consacrata” (2009) e “Le mani sugli occhi” (2011). Il sesto è “Due Madri” pubblicato nel 2015 da Frassinelli. Suoi i racconti “La stiratrice di Saponara” pubblicato nella raccolta “La scelta” edito da Novantacento; il racconto “Il nemico” inserito nella raccolta “Duri a morire” di Dario Flaccovio editore e “L’avaro” che fa parte della antologia “Seven” curata da Gian Franco Orsi per Piemme. È sceneggiatore del film Gli angeli di Borsellino insieme a Paolo Zucca, Mirco Da Lio e Massimo Di Martino. Nel 1999 il Teatro Libero di Palermo ha portato in scena il suo “Dongiovanni” per la regia di Lia Chiappara.

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