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“Sono trascorsi quarant’anni dal vile assassinio per mano mafiosa di Giuseppe Fava, giornalista che ha messo la sua passione civile al servizio della gente e della Sicilia, impegnato nella battaglia per liberarla dal giogo della criminalità e dalla rete di collusioni che consente di perpetuarlo. La mafia lo uccise per le sue denunce, per la capacità di scuotere le coscienze, come fece con tanti che, con coraggio, si ribellarono al dominio della violenza e della sopraffazione e dei quali è doveroso fare memoria”. Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a 40 anni dall’assassinio di Fava. “Fava – rimarca il Capo dello Stato – ha fatto del giornalismo uno strumento di irrinunciabile libertà. L’indipendenza dell’informazione e la salvaguardia del suo pluralismo sono condizione e strumento della libertà di tutti, pietra angolare di una società sana e di una democrazia viva. Un impegno e un sacrificio a cui la Repubblica rende omaggio”.

Un ruolo di fondamentale importanza in un contesto come quello attuale dominato dall’argomento unico della diffusione del Covid 19, maggiormente noto come Corona virus, è quello del sistema complessivo dell’informazione che deve dare le notizie esatte senza cadere nella facilissima trappola del sensazionalismo, del terrorismo psicologico, dell’allarmismo. Fenomeni che fanno vendere più copie dei quotidiani, che consentono maggiori visualizzazioni delle pagine e quindi introiti più pubblicitari più alti ma che chiamano in causa la funzione ineliminabile della stampa. E’ proprio per questo che anche in situazioni come quella che viviamo – con le comprensibili paure e l’incertezza del domani e degli sviluppi di quella che comunque non dovrebbe avere i caratteri della pandemia – la differenza la faranno i professionisti dell’informazione scrupolosi e attenti, che non si lasceranno prendere dall’emozione e da interessi diversi da quello del dovere di cronaca nel rispetto della deontologia. Un discorso a parte ma non meno importante riguarda il mondo dei social media con le sue vere e proprie piattaforme di comunicazione, alla portata di tutti. Un mezzo dal quale si continuano a propalare fake news, ultimatum catastrofici e si prospettano scenari paurosi, in dispregio delle più elementari norme di civiltà, di buon senso e di rispetto per gli altri e per la verità della scienza medica. In questa prospettiva, gli utenti più illuminati, quelli più intelligenti e meno manipolabili, hanno il dovere di contrastare il flusso di informazioni a dir poco inesatte, fornendo quelle giuste e fondate, o indirizzando verso le fonti autorevoli e autorizzate. Nessuno può sentirsi chiamato fuori da questo compito. Le ripercussioni che possono derivarne sulla nostra vita, sull’economia, sulle relazioni sociali, sul lavoro, sugli affetti e sulle dinamiche della vita di tutti i giorni possono essere devastanti, per tutti. Se la paura e la menzogna prevarranno sulla competenza, sul rispetto delle regole e sulla verità delle cose, rimarrà poco spazio per la civiltà e per la democrazia.

Che il web abbia dato la possibilità a sprovveduti e a psicopatici in servizio permanente effettivo di pontificare e di minacciare personalità politiche e celebrità è un fatto contro cui poco si può fare. Certo, oggi i loro messaggi razzisti, violenti e squilibrati possono raggiungere milioni di persone e fare proseliti. Ebbene, come si può combattere questo pernicioso fenomeno? Con le leggi, da una parte e con la cultura dell’indifferenza dall’altra. Ai servizi di intelligence e alla polizia postale – ossia quella che si occupa dei reati informatici e della loro repressione – devono essere destinate nuove e più importanti risorse. Sull’altro versante, si proceda con la catalogazione e con la diffusione di tutti quei siti web promotori di violenza, di messaggi farneticanti e di fake news seriali. In questo modo offriremo un’arma in più a coloro che possono esserne preda. Una informazione è sbagliata si contrasta con una informazione e corretta e vera. L’incivilta la si combatte con le armi della indifferenza.

Facebook aumenta la pluralità dell’informazione mostrando più fonti per le notizie pubblicate nella sezione dei “trending topics”, cioè gli argomenti di tendenza, del social network. La sezione, non presente in Italia, propone notizie in 5 categorie (all news, politica, scienza e tecnologia, sport e intrattenimento). La compagnia fa sapere che per ogni argomento farà vedere articoli tratti non più da una, ma da molteplici pubblicazioni, in modo da esporre l’utente a più punti di vista. La novità è per ora dedicata agli utenti statunitensi e solo su iPhone. (Ansa)

“Non e’ uno scandalo se i francesi comprano Mediaset”. Cosi’ il leader della Lega Nord Matteo Salvini a La Zanzara su Radio 24. Alla domanda dei conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo: “E’ uno scandalo se i francesi comprano Mediaset?”, Salvini risponde: “No, sono stati scandalosi altri gioielli italiani svenduti. Quei quattrini a Berlusconi potrebbero far comodo. Poste Italiane, piuttosto che Eni, Finmeccanica devono invece rimanere italiane”. “Certo – aggiunge Salvini – l’informazione preferirei che rimanesse in mani italiane, se pero’ l’informazione e’ quella della Rai preferirei la comprassero i francesi. Facciamo un appello a francesi, inglesi, russi, uno compri Rai1, l’altro Rai2, Rai3, RaiNews”.

Sono 400 i giornalisti italiani che nel 2016 hanno subito intimidazioni, minacce e gravi abusi a causa del loro lavoro. Nel solo Lazio, la Regione che veste la maglia nera, sono 103. Nella stessa Regione, nell’ultima settimana Ossigeno ha verificato e reso noti altri gravi episodi. A Frosinone e’ stata danneggiata l’automobile di una cronista. A Velletri e Latina e’ stato impedito con la forza ai cronisti di fotografare alcuni amministratori e funzionari comunali che uscivano dal carcere. In Sicilia, invece, un giornalista e’ stato querelato per avere pubblicato una petizione popolare di indubbio interesse. Sono i dati pubblicati dall’associazione Ossigeno per l’informazione, che si batte per la liberta’ di manifestazione del pensiero e la tutela dei giornalisti. Per fortuna questa settimana, aggiunge Ossigeno, si registra anche l’esito positivo di alcuni dei tantissimi procedimenti giudiziari basati su accuse strumentali. La Cassazione ha prosciolto due giornalisti del quotidiano Roma di Napoli che erano stati condannati, rispettivamente, a otto e a dieci mesi di detenzione. E’ una buona notizia, ma ci sono voluti ben dodici anni per affermare che avevano fatto nient’altro che il loro dovere. A Bari, con la stessa motivazione, il Tribunale ha assolto tre giornalisti ai quali erano stati chiesti due milioni di euro di danni: l’articolo contestato e’ del 2009. Ora e’ stato considerato di pubblico interesse. Per ottenere questa sentenza di primo grado ci sono voluti sette anni e la difesa e’ costata diecimila euro. A Roma, la Corte d’Appello ha chiuso con il proscioglimento dei giornalisti e il riconoscimento del diritto di cronaca una delle celebri cause di Silvio Berlusconi contro il quotidiano l’Unita’. L’allora premier voleva un milione e 800 mila euro per quattro articoli del 2009 sulle cene ad Arcore. Anche in questo caso per dare ragione ai giornalisti ci sono voluti sette anni e migliaia di euro di spese legali. Tutto cio’ e’ la riprova di quell’andamento punitivo, tuttora incontrastato, dei procedimenti giudiziari per diffamazione a mezzo stampa descritto e dimostrato in modo inoppugnabile da Ossigeno, con dati ufficiali, nel dossier pubblicato il 24 ottobre scorso.

“Da ieri, le Tv di tutta Europa, praticamente a ciclo continuo e con dovizia di ospiti tuttologi e onniscienti, trasmettono notizie e commenti sui fatti di Monaco, presentandoli – pur con qualche interrogativo più o meno di rito – come l’ennesimo atto terroristico di matrice islamica. Adesso viene fuori che si trattava di un adolescente depresso e svitato, desideroso di vendicarsi per le umiliazioni subite da piccolo. I morti sono morti, comunque, e la vicenda è tragica. Ma perché montare subito un palco mediatico di questo tipo?”. Lo chiede Lorenzo Dellai, capogruppo di Democrazia solidale-Centro democratico, alla Camera. “Nessuno nel mondo della comunicazione – aggiunge – pensa che serva un minimo di codice di autoregolamentazione in una fase così delicata? La regola che dovrebbe impedire alla cattiva politica di speculare sulla paura della gente non è la stessa che dovrebbe agire anche nei confronti del sistema mediatico per impedire che tutto si giustifichi, purché l’audience sia alto? In ogni caso, purtroppo, il Califfo sentitamente ringrazia: stiamo lavorando per lui”.