Bce

‘Serve ancora uno stimolo significativo da parte della politica monetaria per sostenere l’ulteriore accumularsi di pressioni interne sui prezzi e la dinamica dell’inflazione complessiva nel medio periodo’. E’ quanto si legge nel Bollettino economico della Bce. L’Eurotower nota infatti che, sebbene ‘il vigore di fondo della domanda interna continui a sostenere l’espansione dell’area dell’euro e il graduale incremento delle pressioni inflazionistiche’ e quindi ‘l’inflazione continui stabilmente a convergere su livelli coerenti con l’obiettivo’ anche dopo la fine degli acquisti del Qe, ‘allo stesso tempo permangono notevoli incertezze connesse a fattori geopolitici, alla minaccia del protezionismo, alle vulnerabilità nei mercati emergenti e alla volatilità nei mercati finanziari’. Secondo il Bollettino, in ogni caso, ‘le indicazioni prospettiche del Consiglio direttivo sui tassi di interesse di riferimento della Bce, rafforzate dai reinvestimenti delle notevoli consistenze di attività acquistate, continuano a fornire il grado di accomodamento monetario necessario ad un aggiustamento durevole dell’inflazione verso l’obiettivo’. Tanto più che, ‘in ogni caso, il Consiglio direttivo e’ pronto, ove opportuno, ad adeguare tutti i suoi strumenti per assicurare che l’inflazione continui ad avvicinarsi stabilmente al livello previsto’.

Se da una parte la posizione fiscale continua a migliorare, dall’altra “gli sforzi di fondo per il consolidamento stanno perdendo di forza”. E’ quanto scrivono gli esperti della Bce nel rapporto sulla stabilita’ finanziaria diffuso questa mattina. “Il deficit fiscale aggregato dell’Eurozona e’ migliorato dall’1,5% del pil nel 2016 allo 0,9% nel 2017 – si legge nel rapporto – con un solo paese (la Spagna) che rimane sopra la soglia del trattato di Maastricht del 3%. Secondo le proiezioni della Commissione Europea, la posizione fiscale dovrebbe migliorare ancora nel 2018 e 2019 sebbene a un passo piu’ moderato rispetto agli anni precedenti”. Il miglioramento tuttavia, prosegue il rapporto, dovrebbe essere favorito soprattutto da condizioni cicliche favorevoli e in misura minore da minori spese per i tassi. “La posizione fiscale di fondo nell’Eurozona dovrebbe rimanere in larga misura neutrale nel corso del 2018-19 – spiega il rapporto – ma ci si attende che alcuni paesi allentino leggermente le loro politiche in materia. In effetti un deterioramento dei saldi strutturali di bilancio e’ previsto per la maggior parte dei paesi che sono stati colpiti dalla crisi. Alcuni paesi altamente indebitati sono a rischio di non compliance con gli sforzi fiscali strutturali previsti dalle regole del patto di stabilita’ e crescita (ad esempio Belgio, Francia, Italia e Portogallo). Anche le riforme strutturali hanno perso momentum, e vi e’ ancora bisogno di riuscire a ottenere una composizione delle finanze pubbliche nell’Eurozona piu’ favorevole alla crescita. Nel complesso, la dipendenza del miglioramento atteso nei saldi dalle condizioni cicliche rende l’outlook fiscale – e per estensione il market sentiment verso alcune emittenti sovrani dell’Eurozona – molto sensibili a cambiamenti nel clima di crescita”.

Sebbene l’inflazione stia convergendo verso l’obiettivo a medio termine intorno al 2%, la Banca centrale europea “ha ancora bisogno di vedere ulteriori prove del fatto che le dinamiche si stanno muovendo nella giusta direzione”. Lo ha affermato il presidente della Bce Mario Draghi in una conferenza a Francoforte confermando di conseguenza una politica monetaria “paziente, persistente e prudente” con aggiustamenti “prevedibili” e che proseguiranno a un ritmo misurato. Draghi ha evidenziato comunque i progressi dell’economia dell’Eurozona anche se restano spazi di recupero. Ad esempio se gli investimenti delle aziende sono a un livello del 7% superiore a quello precrisi, per il settore costruzioni il gap resta del 17% “e solo ora ha iniziato a risalire”. Quanto al mercato del lavoro, “da metà 2013 l’occupazione è cresciuta di circa 7,5 miliardi di unità e tutta la perdita registrata durante la crisi è stata recuperata”. Quanto ai consumi, gli acquisti ‘non essenziali’ che “tendono a essere rimandati durante le recessioni, al momento sono solo del 2% superiori al livello precrisi indicando come questa spesa delle famiglie ha ancora spazio per sostenere la crescita”.

In Italia nel 2015 il jobs act ha creato “un aumento di quasi mezzo milione di persone occupate con un contratto di lavoro permanente, in gran parte perche’ le agevolazioni hanno incoraggiato le imprese ad assumere piu’ persone con il nuovo contratto a tempo indeterminato”. Lo ha dichiarato il presidente della Bce, Mario Draghi, durante una conferenza a Francoforte sulle riforme strutturali nell’area euro.
Draghi ha anche ricordato che alcuni Paesi “hanno attuato riforme negli ultimi anni che hanno contribuito a ridurre la disoccupazione, in modo piu’ visibile Spagna e Portogallo, ma anche l’Italia”.

“La politica deve tornare ad essere protagonista delle scelte, non tocca alla burocrazia. lo ha detto il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, ad Ischia, intervenendo alla convention di Forza Italia. “Per troppo tempo – ha aggiunto – la burocrazia ha imperato perche’ la politica e’ stata assente”.
Tajani ha spiegato di avere scritto al presidente della Bce “non perche’ volessi fare polemica con Draghi”, ma “ho voluto soltanto mettere nero su bianco che ci sono dei limiti, ho rivendicato la centralita’ del Parlamento”, ha dichiarato. “Tocca al legislatore farlo, e a chi rappresenta il popolo adottare le decisioni”, ha concluso.

Tra i fattori che continuano a frenare la ripresa dell’inflazione a livelli inferiori ma vicini al 2% nell’Eurozona c’è anche la grande diffusione di “contratti di lavoro temporanei”, che produce una pressione al ribasso sui salari. Lo ha spiegato il presidente della Bce Mario Draghi, in audizione davanti alla commissione Econ dell’Europarlamento. La dinamica dei salari “piuttosto debole”, ha detto Draghi, è uno dei principali “fattori sottostanti” che spiegano la debolezza persistente dell’inflazione nell’Eurozona, pur in presenza di una ripresa economica “robusta”. La dinamica dei salari, ha continuato, “è stata più debole in questa fase del ciclo economico di quanto non sarebbe stata in altre condizioni, e questo ha a che fare con il funzionamento del mercato del lavoro”. L’Eurozona, ha ricordato il presidente della Bce, viene da una lunga crisi, da “un periodo prolungato di fiacchezza del mercato del lavoro, che è una eredità del passato. La disoccupazione è probabilmente più elevata di quanto non dicano i dati ufficiali: molte persone hanno contratti di lavoro temporanei”, si trovano cioè in “una situazione che non li porta a chiedere uno stipendio più alto”.

“La ricerca economica si e’ evoluta nel pensiero su come le banche centrali dovrebbero rispondere a una crisi emergente, in particolare quando i loro strumenti standard di politica monetaria, vale a dire i tassi d’interesse a breve termine, raggiungono il margine piu’ basso. Si puo’ intervenire attraverso un’ulteriore riduzione dei tassi d’interesse a breve termine e la politica diventa non piu’ standard. Un’opzione e’ fare affidamento su una guidance prospettica, vale a dire promettersi di mantenere bassi i tassi di interesse in futuro”. Cosi’ il presidente della Bce, Mario Draghi, intervenuto al Lindau Nobel Laureate Meeting in Germania. “La ricerca recente ha evidenziato che la sua efficacia puo’ essere migliorata se combinata con altre politiche monetarie non standard. La ricerca nel mondo accademico e nelle banche centrali ha, pertanto, riesaminato strumenti alternativi di politica monetaria, incluse le cosiddette politiche di Quantitative Easing. E qui – ha aggiunto – i modelli sviluppati di recente sono stati utili. Studi precedenti basati sull’assunzione di mercati finanziari senza attrito avevano concluso che il Qe e’ completamente inefficace. Ma il focus sugli attriti finanziari ha chiarito che questa conclusione e’ ingiustificata, una volta riconosciuto che gli intermediari finanziari sono soggetti a vincoli di leva finanziaria”.

L’euro non smette di crescere, per le imprese del Vecchio continente le esportazioni si fanno sempre piu’ difficili, la Bce dovrebbe attendere ancora nell’annunciare l’avvio del ‘tapering’, cioe’ della riduzione del programma di acquisto di titoli per sostenere l’economia e rilanciare inflazione. Il giorno dopo l’emersione dell’allarme di Francoforte sulla forza della moneta unica il quadro tracciato dagli analisti e’ questo, anche perche’ dagli Stati Uniti non giungono segnali di immediato rialzo dei tassi. Anzi. Mario Draghi si e’ dato il 2% come obiettivo per l’inflazione europea, ma Eurostat ha appena confermato che a luglio come a giugno si e’ fermi all’1,3%. Secondo gli analisti di Credit Suisse ci sono “i primi segnali di un possibile trend al rialzo dell’inflazione ‘core’: in Spagna il processo e’ gia’ ben avviato, mentre in Germania un ‘bottom out’ prolungato si e’ probabilmente concluso negli ultimi mesi, con Francia e Italia che appaiono in leggero ritardo”. Ma “la Bce probabilmente restera’ cauta, rimandando la decisione sul futuro del suo programma di ‘quantitative easing’ solo dopo la riunione di settembre”. La maggioranza degli analisti si aspetta una riduzione degli acquisti trimestrali di Francoforte a partire da gennaio, con la fine del programma che potrebbe essere posto nella seconda parte del 2018. Nella maggior parte dei report viene definito “irrilevante” il ricorso contro il Qe presentato nei giorni scorsi dalla Corte Costituzionale tedesca, con la sensazione che la Bce e i mercati vogliano il ‘tapering’, ma sia i dati macroeconomici sia l’andamento dell’euro ancora non lo consentano. Cosi’ la corsa della moneta unica prosegue. Immediatamente dopo la pubblicazione delle minute dell’ultimo direttivo della Bce le quotazioni dell’euro sono scese di quasi un punto percentuale, per recuperare pero’ in breve le quotazioni abituali. E nelle ultime ore il trend di crescita non si e’ fermato, con un aumento di quasi mezzo punto. L’euro si muove infatti attorno a quota 1,175 sul dollaro, con un rialzo del 13% da inizio anno. Poco inferiore la corsa rispetto alla sterlina (+9% dai minimi di aprile) e sul franco svizzero (+6%), con stime quasi sempre di ulteriore consolidamento. Gli analisti della giapponese Nomura, tra i piu’ indipendenti e attenti sul comparto valutario, prevedono che nei prossimi anni l’euro possa rafforzarsi in modo “costante e progressivo”, con la moneta unica che potrebbe valere 1,20 alla fine dell’anno prossimo e 1,30 nel 2019, non lontano quindi dai massimi storici di 1,39 dell’estate di tre anni fa. Piu’ cauta Mps capital services, secondo la quale il taglio delle tasse in Usa “potrebbe riportare il cambio in area 1,10 nei prossimi mesi”, rimanendo “su questo livello nel corso del primo trimestre 2018, in vista del turno elettorale in Italia” e dei rischi che comporta. Ma subito dopo “il dollaro potrebbe iniziare nuovamente a deprezzarsi in vista di un atteggiamento Fed molto morbido in tema di politica monetaria”, conclude Mps.

“I provinciali autarchici, senza visione e nemici dell’Europa non esistono solo in Italia. Da noi dicono che l’Ue e’ serva della Merkel, in Germania che Draghi aiuta i Paesi-cicala che buttano i soldi dei contribuenti tedeschi. Noi, come Draghi, combattiamo per un’Europa migliore, convinti che i singoli Stati, senza l’Unione, siano destinati al declino.” Lo ha detto Andrea Mazziotti (Civici e Innovatori), presidente della commissione Affari Costituzionali di Montecitorio e aderente alla campagna “Forza Europa”.

La politica accomodante della Bce ha fatto risparmiare ai contribuenti tedeschi 250 miliardi di euro nell’ultimo decennio. E’ quanto emerge da uno studio della Bundesbank riportato dal Financial Times. Con le misure dell’Eurotower il costo di finanziamento del governo tedesco, cosi’ come quello dei singoli stati e delle municipalita’ e’ calato dal 4% del 2007 al 2% del 2016, consentendo alle autorita’ risparmi nel pagamento di interessi per 240 miliardi di dollari negli ultimi dieci anni. Lo studio – afferma il Financial Times – contraddice l’idea diffusa che la politica monetaria della Bce ha derubato i risparmi dei cittadini tedeschi. La pubblicazione della ricerca coincide con le speculazioni sull’interesse del presidente della Budesbank, Jens Weidmann, a sostituire Mario Draghi alla guida della Bce nel 2019.