“Voglio provare a rigenerare il centrodestra con un programma politico liberale e popolare, alternativo al centrosinistra e concorrente con i Cinque Stelle”, un progetto che prenderà forma “con una convention programmatica a settembre, a Milano, in cui raccoglieremo idee e proposte”. Stefano Parisi, candidato perdente del centrodestra a sindaco di Milano, in una intervista a La Stampa annuncia la sua ‘discesa in campo’ per “dare una mano” alla ricostruzione del centrodestra, partendo proprio dall’esperienza fatta nel capoluogo lombardo che “non va dispersa”. All’appuntamento di settembre “coinvolgerò persone che arrivano dall’università e dall’impresa”, che non abbiano una lunga carriera politica alle spalle ma che comunque “abbiano dimostrato di saper fare”. Perchè “la politica ha vissuto una breve fase giovanilista, in cui sembrava un merito non aver fatto niente”. Un messaggio che Parisi rivolge “a tutti, anche oltre il perimetro che mi ha sostenuto. Parlo all’opinione pubblica moderata, che va risvegliata nell’interesse e nella partecipazione”. Sul leader di Fi Silvio Berlusconi, “penso che guardi al mio progetto con interesse” e nel centrodestra del futuro avrà un ruolo “come fondatore. E’ stato a lungo motore della parte più moderata dello schieramento, deve continuare ad esserlo”. Sui contenuti, Parisi invoca “rigore e regole chiare” verso gli immigrati, convinto che quello di Salvini non possa essere liquidato come “populismo” ma esprima “un malessere reale”. Ecco, “voglio dare risposte a quelle paure”. Nei confronti della Ue, “giusto il rigore di Bruxelles sulla finanza pubblica, ad essere sbagliata è la burocrazia” che frena l’economia. Ma il punto chiave della proposta di Parisi sono le riforme: al referendum spiega che voterà no, ma aggiunge: “Qualunque sia l’esito del voto, il governo non deve cadere. Tutte le forze politiche dovrebbero approvare una legge costituzionale che sostituisca il Senato con un’Assemblea costituente. L’Assemblea – spiega – sarà eletta con metodo proporzionale contemporaneamente alle elezioni politiche, lavorerà per 18 mesi e discuterà delle proposte di riforma, poche e semplici, portate dai partiti”.