Onu

La reazione del governo israeliano alla risoluzione di condanna della politica degli insediamenti ebraici in Cisgiordania da parte del Consiglio di sicurezza Onu prova a quale punto sia giunta la frattura tra quel paese e la comunita’ internazionale in merito ai territori arabo-palestinesi occupati, scrive il settimanale statunitense “Time”. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, insiste nel sostenere che non ci sia nulla di sbagliato nell’edificazione di insediamenti in alcune delle aree occupate dopo la Guerra dei sei giorni (1967); la risoluzione numero 2334, approvata lo scorso 23 dicembre dal Consiglio di sicurezza con il cruciale avvallo degli Stati Uniti – che non hanno fatto ricorso al veto – getta pero’ Gerusalemme in uno stato di isolamento politico assoluto, prosegue il settimanale. Le relazioni tra Israele e il suo fondamentale alleato, gli Stati Uniti, non hanno fatto che peggiorare durante gli otto anni di amministrazione del presidente Usa uscente, Barack Obama. Negli ultimi mesi ha opposto alla politica degli insediamenti un’opposizione sempre piu’ dura e rumorosa, sino ad arrivare ad una condanna aperta. E’ palese – scrive il periodico “Time” – che tra Netanyahu e Obama e’ in corso uno scontro personale, prima ancora che politico. Lo provano i durissimi commenti diffusi dal premier israeliano dopo l’approvazione della risoluzione: “Dalle informazioni a nostra disposizione, non abbiamo alcun dubbio che l’amministrazione Obama abbia dato inizio all’iniziativa, l’abbia sostenuta, coordinata e abbia preteso la sua approvazione”, ha accusato Netanyahu domenica di fronte al suo gabinetto di governo. L’attacco personale a Obama – sostiene il settimanale – serve anche a Netanyahu per mascherare il fatto che la risoluzione contro gli insediamenti e’ stata approvata da molti altri paesi con cui il premier israeliano intrattiene relazioni politiche sempre piu’ strette, come Russia e Cina. “Questo e’ lo stesso primo ministro che ci assicurava che dozzine di Stati erano dalla nostra parte”, ha infatti dichiarato all’emittente televisiva Channel 2 Tv l’ex premier israeliano Ehud Barak. “Ho cercato la Russia, la Cina, l’Inghilterra, la Francia. Dov’erano tutti questi nostri supposti amici, quando avrebbero dovuto sostenerci?”. L’approvazione della risoluzione numero 2334 rappresenta insomma, secondo il “Time”, una vera e propria umiliazione per Netanyahu, che ha sempre sminuito la rilevanza delle critiche alla politica degli insediamenti mosse dalla comunita’ internazionale. La risoluzione approvata venerdi’ scorso dalle maggiori potenze mondiali mette nero su bianco che gli insediamenti “non hanno alcuna legittimita’ giuridica” e costituiscono anzi una flagrante violazione” del diritto internazionale. Si tratta certo di un documento simbolico, privo di alcuna sanzione o misura concreta ai danni di Israele. Tel Aviv, pero’, potrebbe subire presto altri “smacchi”: il 15 gennaio, pochi giorni prima della fine del secondo ed ultimo mandato di Obama alla Casa Bianca, la Francia ospitera’ una conferenza di dozzine di paesi mediorientali e non, con l’obiettivo di lanciare un piano di pace tra israeliani e palestinesi sulla base del principio di due Stati per due nazioni, entro i confini politici del 1967. A Netanyahu non resta che attendere l’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump: il presidente statunitense eletto ha nominato ambasciatore in Israele l’avvocato David Friedman, sostenitore politico ed economico degli insediamenti in Cisgiordania. Ed ha promesso che a partire dal 20 gennaio “le cose saranno differenti”. Non e’ chiaro pero’ cosa Trump possa fare, conclude il “Time”: il presidente eletto avra’ certo a disposizione il potere di veto per bloccare nuove risoluzioni “anti-Israele” all’Onu. Ma non potra’ in alcun modo ribaltare la risoluzione di condanna approvata venerdi’.

“Desidero esprimere pieno sostegno al Governo di Gerusalemme e al Primo Ministro Netanyahu, dopo la risoluzione chiaramente anti-israeliana approvata all’Onu, che rischia di essere fonte di lunghi conflitti e duri contenziosi, temo non solo diplomatici”. Lo dichiara Daniele Capezzone, deputato Conservatori e Riformisti. “La reazione del Primo Ministro israeliano Netanyahu (convocazione degli ambasciatori, proteste formali, ecc) è assolutamente giustificata e ragionevole”, aggiunge, osservando che “dal presidente Obama è purtroppo venuto un colpo di coda che non fa onore agli Stati Uniti. Gli errori in politica estera della presidenza Obama sono stati molti, a partire dal credito concesso al regime iraniano. Ora si aggiunge, nel finale di partita, questo incredibile schiaffo a Israele. Una ragione di più per confidare in una inversione di rotta, dal 20 gennaio prossimo, con la nuova amministrazione Trump”.

“Dall’altro ieri il mondo e’ unito al nostro fianco e ci sostiene. Quello che e’ successo l’altro ieri non risolve la questione palestinese, ma la definisce e offre basi legali per risolverla tra cui il fatto che le colonie sono illegali”. Lo ha detto il presidente palestinese Abu Mazen, ieri sera a Betlemme, citato dai media locali, in merito alla risoluzione Onu votata dal Consiglio di sicurezza sulle colonie israeliane. “Il mondo sta dicendo a Israele di fare attenzione e di tornare indietro da questa politica sbagliata che non porta la pace”, ha aggiunto.

Prime ritorsioni di Israele alla risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu contro gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi. Il premier Benjamin Netanyahu ha richiamato i suoi ambasciatori in Nuova Zelanda e Senegal e ha sospeso la visita del ministro degli Esteri senegalese: entrambi i Paesi, insieme a Venezuela e Malesia, hanno sostenuto la risoluzione, approvata ieri grazie alla storica astensione degli Stati Uniti che non avveniva dal 1981 nel contesto del conflitto arabo-palestinese. La visita del capo della diplomazia senegalese, Mankeur Ndiaye, era prevista per gennaio. Secondo fonti del governo israeliano, il premier ha ordinato anche la sospensione di tutti gli aiuti umanitari e della cooperazione con il Senegal. Le fonti hanno confermato che si tratta di una prima reazione all’iniziativa dei due Paesi nel voler ripresentare il testo ritirato il giorno prima dall’Egitto su pressioni di Israele e del presidente eletto Usa, Donald Trump. Con Caracas e Kuala Lampur Tel Aviv non ha relazioni diplomatiche.
La risoluzione, che ha provocato l’indignazione di Netanyahu, soprattutto perché gli Stati Uniti hanno abbandonato la loro tradizionale politica del veto, è stata approvata con 14 voti a favore, nessun contrario e un’astensione. Il testo chiede la cessazione “immediata” e “piena” degli insediamenti ebraici nei territori occupati palestinesi e insiste sul fatto che la soluzione del conflitto in Medioriente richiede la creazione di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano. Al momento, confermano le fonti, non è prevista per oggi (in Israele è la giornata dello shabbat, la festa del riposo, che è osservata ogni sabato) nessuna riunione di emergenza del Consiglio dei ministri, che di solito si tiene la domenica mattina. Di fronte alle gravi condanne della destra nazionalista verso il presidente Barack Obama e alle critiche dei politici di centrosinistra verso Netanyahu, colpevole di aver portato al voto dell’Onu con la sua politica delle colonie, gli analisti sono divisi sull’impatto reale della risoluzione. Per Barak Ravid, del quotidiano Haaretz, si tratta di una decisione “senza oneri effettivi”, dato che è stata approvata senza prevedere meccanismi sanzionatori e, soprattutto, a corto e medio tempo non rischia di diventare una “risoluzione dichiarativa”. Aluf Ben, capo redattore dello stesso quotidiano, si distanzia dal collega e avverte che la destra nazionalista israeliana richiederà ora “fatti concreti sul terreno” e rilancerà la politica delle colonie, che Netanyahu stava mantenendo latente su pressione di Washington. Dal lato palestinese la soddisfazione è oggi generalizzata dopo anni di intenso lavoro diplomatico che ha dato i frutti proprio quando Obama sta per lasciare la Casa Bianca e sarà sostituito il 20 gennaio da Donald Trump, che da subito sembra essere molto più vicino alle posizioni di Netanyahu. Il presidente palestinese, Mahmmud Abbas e il segretario generale dell’Old, Saeb Erkat, considerano il voto uno “schiaffo” per Israele e sostengono che la soluzione dei due Stati non sia morta del tutto. Per il governo dell’Autorità nazionale palestinese, guidato dal premier Rami Hamdala, si tratta di un “risultato storico”, “una grande vittoria per i diritti dei palestinesi”, secondo quanto ha detto il suo portavoce Yusuf Mahmoud attraverso l’agenzia ufficiale Wafa. “La decisione segna un importante e storico traguardo per sostenere e consolidare le fondamenta della pace nella regione, porre fine all’occupazione e raggiungere la piena sovranità su tutti i territori palestinesi occupati nel 1967 con capitale Gerusalemme Est”, ha ribadito. Anche i movimenti islamisti Hamas e Jihas islamica, che rifiutano ogni possibilità di pace con Israele, hanno accolto con favore la risoluzione considerandola “un cambiamento nella politica della comunità internazionale. “Hamas dà il benvenuto a questa risoluzione e si rallegra per i cambiamenti positivi nella posizione della comunità internazionale che appoggia i diritti palestinesi negli organismi internazionali”, ha dichiarato in una nota il suo portavoce, Fauzi Barhum. Allo stesso tempo però Hamas esorta la comunità internazionale a fare di più a favore della causa palestinese e a porre fine all’occupazione israeliana.

I paesi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu “condannano con la massima fermezza l’attacco barbaro e vile avvenuto a Berlino, in Germania”, ribadendo che “il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni costituisce una delle più gravi minacce alla pace e alla sicurezza internazionale”. In una dichiarazione approvata all’unanimità viene sottolineata la necessita’ di “combattere il terrorismo con tutti i mezzi, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale”. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha parlato al telefono con vari capi di Stato e di governo, che le hanno espresso solidarietà e appoggio nella lotta contro il terrorismo. Durante una telefonata il presidente francese, François Hollande e la Merkel hanno ribadito “la piena mobilitazione dei servizi di sicurezza francesi e tedeschi per combattere il terrorismo e applicare le misure di sicurezza a livello europeo”. La Germania piange le vittime della strage di lunedì, quando un camion si è schiantato contro un affollato mercato di Natale nella capitale tedesca. Il bilancio è di 12 morti e 48 feriti. L’agenzia di stampa dell’Isis, Amaq news agency, ha rivendicato l’attentato chiamando il terrorista un “soldato dello Stato islamico”. Ieri le vittime della strage sono state ricordate nella Chiesa del Ricordo sulla Breitscheidplatz. Erano presenti autorità ed esponenti di tutte le confessioni, evangelica, cattolica, ortodossa, ebraica e musulmana.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato in favore di un cessate il fuoco immediato in Siria e dell’accesso di aiuti umanitari. La bozza di risoluzione, redatta dal Canada, è stata approvata con 122 voti a favore, 13 contrari e 36 astenuti. Si tratta di in un tentativo dell’Assemblea di superare l’empasse in sede di Consiglio di Sicurezza, dove Russia e Cina hanno posto il veto a una bozza di risoluzione che chiedeva una tregua di sette giorni ad Aleppo. Il testo approvato dall’Assemblea Generale, che è non vincolante, chiede la “fine completa di tutti gli attacchi contro i civili”, nonché quella dell’assedio alle varie città del paese. Ma in tanti sono dubbiosi sull’efficacia dell’iniziativa. “Purtroppo credo che sia troppo poco e che arrivi troppo tardi”, ha detto l’ambasciatore britannico all’Onu, Matthew Rycroft, secondo il quale la risoluzione servirà solo a dimostrare che c’è una “maggioranza morale” di Paesi “delusa dal fatto che, con una lunga serie di veti, il Consiglio di Sicurezza abbia fallito a dimostrare l’unità necessaria per cambiare la situazione in Siria”. Ferma la posizione della Russia, secondo la quale la risoluzione, anche se approvata, non produrrà impatto sul terreno. “Aspettarsi che produca qualche tipo di inversione radicale nella situazione in Siria – ha detto l’ambasciatore russo Vitaly Churkin – non è realistico”.

Il presidente eletto degli Usa Donald Trump ha scelto la governatrice del South Carolina Nikki Haley per la posizione di ambasciatore all’Onu. Lo indicano fonti vicine a Trump. Haley sarebbe la prima donna della nuova squadra di Trump. Per la compagine di governo si fa avanti anche David Petraeus, l’ex generale che si fa avanti e ‘si offre’ per un incarico. “Se me lo chiedessero, mettendo da parte ogni riserva sulla retorica della campagna elettorale, l’unica risposta possibile sarebbe: Si’, signor Presidente”, ha detto in un’intervista radiofonica alla Bbc. Militare americano fra i piu’ stimati, gia’ comandante delle forze Usa in Afghanistan e in Iraq e poi capo della Cia dal 2011 per volere di Barack Obama, Petraeus fu costretto a dimettersi nel 2012 a causa dello scandalo sulle presunte informazioni finite a Paula Broadwell, la biografa con cui aveva intrecciato una relazione extraconiugale. Nelle ultime settimane tuttavia alcuni media hanno ipotizzato un possibile ritorno in scena del generale, oggi 64enne, e fonti citate dal Guardian lo hanno indicato come potenziale segretario di Stato.

Allarme dell’Onu sui migranti: il 2016 è l’anno più letale per coloro che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo. Il portavoce dell’Unhcr, William Spindler, precisa che per ora si può solo confermare che sono almeno 3.800 i migranti morti o dispersi dall’inizio dell’anno. I nuovi dati si riferiscono a diversi incidenti ed in particolare alle testimonianze raccolte dall’Unhcr presso le persone soccorse durante il week-end e fatte sbarcare in Italia, ha spiegato Spindler. “Abbiamo ricevuto resoconti in base ai quali numerose persone sono morte o risultano disperse. Si tratta chiaramente di stime”, ha aggiunto. L’anno scorso l’Unhcr aveva registrato per tutto l’anno un totale di 3.771 decessi nel Mediterraneo. Ma mentre nel 2015 1.015.078 persone avevano attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa, quest’anno sono finora circa 327.800. Ad essere aumentato è il tasso dei decessi: nel 2016 una persona ogni 88 che hanno tentato la traversata ha perso la vita, un dato in netta crescita rispetto a 1 ogni 269 dello scorso anno. Nel Mediterraneo Centrale questo dato è addirittura più alto, con una morte ogni 47 arrivi.

Il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha incontrato a Montecitorio il segretario generale dell’Onu BAN Ki-moon. Al centro del colloquio l’intesa sul cambiamento climatico e le ripercussioni del fenomeno migratorio. La Presidente della Camera ha mostrato al segretario generale dell’Onu la Sala della Lupa e anche la Sala delle Donne che illustra il contributo delle donne in politica dalla Costituente ad oggi. Tra gli argomenti che saranno oggetto di discussione quello sui diritti civili nel mondo e l’impegno dell’Onu sui vari fronti. Il presidente Boldrini ha sempre mostrato grande interesse su queste tematiche che costituiscono il background della sua formazione politica

Giorni cruciali per la scelta del nuovo segretario generale dell’Onu. Il Consiglio di Sicurezza e’ piu’ diviso che mai, dopo le recenti tensioni tra Mosca e Washington che hanno portato alla rottura del negoziato sulla Siria. E secondo i diplomatici del Palazzo di Vetro questo potrebbe avere serie ripercussioni anche sulla scelta del successore di Ban Ki-moon. Tanto che spunta la possibilita’ di prorogare di qualche mese l’ex ministro degli esteri sudcoreano alla guida dell’organizzazione internazionale. A meno di una settimana dal colpo di scena che ha portato la Bulgaria a decidere di appoggiare la candidatura della vice presidente della Commissione Ue, Kristalina Georgieva, ‘scaricando’ il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova, la Russia ha affermato che vorrebbe vedere come successore di Ban Ki-moon una donna proveniente dall’est Europa. “Crediamo fermamente che sia il turno dell’Europa orientale per il prossimo segretario generale”, ha spiegato l’ambasciatore di Mosca Vitaly Churkin parlando con i giornalisti, precisando: “Ci piacerebbe molto che fosse una donna”.