È guerra aperta tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e le stelle dello sport americano. Ieri Trump ha scioccato l’opinione pubblica ritirando l’invito a visitare la Casa Bianca a Stephen Curry, il leader dei Golden State Warriors campioni Nba, colpevole di averlo criticato. “Essere invitati alla Casa Bianca dovrebbe essere considerato un grande onore. Stephen Curry esita. Invito ritirato!”, ha twittato il presidente. Curry aveva già annunciato la sua volontà di non andare alla Casa Bianca e ha ricevuto la solidarietà del campione dei Cleveland Cavaliers, Lebron James, che su Twitter ha definito Trump un “pezzente” e ha chiarito che “andare alla Casa Bianca era un onore prima che arrivasse lei” e che “Curry aveva già detto che non sarebbe venuto, quindi non c’è nessun invito da ritirare”. Nella serata di sabato i Golden State Warriors hanno annunciato la rinuncia a visitare la Casa Bianca: “Non c’è niente di più americano che poter esprimere liberamente le proprie opinioni”, ha scritto la franchigia in una nota dicendosi “delusa” da quanto accaduto. “Al posto di visitare la Casa Bianca – si legge ancora – a febbraio quando ci recheremo nella Capitale troveremo il modo per celebrare l’uguaglianza, la diversità e l’inclusione. Valori che come organizzazione sosteniamo”.La polemica però non si è placata. A rilanciare la rivolta ci ha pensato anche la leggenda Kobe Bryant, twittando che “un presidente il cui nome da solo basta a creare divisioni e rabbia, le cui parole ispirano dissenso e odio, non potrà mai fare grande l’America”, con un riferimento allo slogan elettorale ‘Make America Great Again’. In serata lo stesso Curry ha parlato di una “giornata surreale” e ha detto di non sapere perché Trump “senta il bisogno di prendere di mira alcune persone piuttosto che altre”. Anche LeBron è tornato a commentare la vicenda, dicendosi “frustrato” dal comportamento del presidente, che dopo i fatti di Charlottesville, e le polemiche sulla sua mancata presa di distanze dall’estrema destra razzista, “sta usando lo sport per dividere ancora di più il popolo americano”.Le critiche su Trump sono piovute su Trump anche per la sua richiesta alla National Football League di “licenziare” i giocatori che, per protesta, si rifiutano di cantare l’inno nazionale. Il caso più noto è quello di Colin Kaepernick, quarterback afroamericano che per primo, nel 2016, si inginocchiò durante l’inno per protestare contro le violenze della polizia nei confronti delle minoranze. “Non sarebbe bello se i proprietari delle squadre dicessero: ‘figli di buona donna, siete licenziati’?” ha suggerito Trump venerdì nel corso di un comizio. E ieri è tornato all’attacco twittando che “giocatori con il privilegio di guadagnare milioni di dollari nella Nfl o in altri campionati” non dovrebbero essere autorizzati a “mancare di rispetto” alla bandiera e al Paese. “Vuole che siano cacciati solo perché esercitano un loro diritto, e questo non è giusto” ha commentato LeBron. E il primo effetto ‘boomerang’ dell’offensiva di Trump si è visto sabato sera, quando è andata in scena la prima protesta nel anche nella Major League di baseball: Bruce Maxwell degli Oakland Athletics si è inginocchiato durante l’inno prima della partita contro i Texas Rangers, mentre il compagno Mark Canha gli ha messo una mano sulla spalla. “Non lo faccio per mancare di rispetto alla Costituzione e al Paese”, ha spiegato, “ma per dare voce alle persone che non ne hanno”. La squadre di Oakland in una nota si è detta “orgogliosa di essere inclusiva” e di “rispettare il diritto costituzionale alla libertà di espressione di tutti i giocatori”.