lavoratori

“Sinistra. Questione democratica e questione sociale. Da ieri, noi di Articolo uno abbiamo deciso di esser fuori dalla maggioranza a causa di una legge elettorale truffa, sostenuta da Verdini, Salvini e Berlusconi , che non rispetta il principio di uguaglianza e liberta’ del voto. Questa decisione e’, dopo l’uscita dal Pd, il secondo strappo vero per dare al Paese una forza di sinistra”. Lo scrive su facebook Enrico Rossi (Mdp), presidente regione Toscana. “Lo abbiamo fatto- spiega- su una questione democratica serissima, non accettando di sacrificare al solito ricatto di un’esigenza astratta di stabilita’, che in realta’ e’ solo un salvare se stessi e gli interessi dominanti, principi e valori irrinunciabili sanciti dalla Costituzione. È una scelta coraggiosa. Un atto fondativo della sinistra che vogliamo costruire. Ora, il secondo passo e’ chiedere il ripristino dell’articolo 18 contro i licenziamenti illegittimi e a tutela della liberta’ e della dignita’ dei lavoratori”. “Lo stesso Giuliano Pisapia- prosegue Rossi- aveva indicato a luglio questo obiettivo come fondamentale per la sinistra. La questione sociale, insieme a quella democratica, e’ infatti la ragione di esistenza della sinistra. C’e’ un movimento di lavoratori pronto a lottare contro il precariato e per i propri diritti, vertenze aperte dovunque, presidi davanti alle fabbriche, proteste contro ingiustizie e soprusi. La sinistra che dobbiamo costruire deve stare inequivocabilmente dalla parte dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati. Bisogna non avere paura”. “Enrico Berlinguer quando ando’ nel 1980 a parlare davanti ai cancelli della Fiat a Torino fu molto criticato per le sue posizioni- dice ancora Rossi-. Eppure, al di la’ del merito delle scelte e dei problemi di quella difficilissima vertenza che vide poi una la sconfitta del movimento dei lavoratori e del sindacato, un concetto chiaro era stato comunicato: il leader del maggior partito della sinistra stava accanto ai lavoratori nella buona e nella cattiva sorte”. Certo, continua il presidente della regione Toscana, “la storia non si ripete, ma una forza politica di sinistra puo’ trarre dagli esempi del passato indicazioni e comportamenti che possono ispirare il pensiero e l’azione nel presente. Io vorrei che noi costruissimo la sinistra a fianco del mondo del lavoro”. “Non e’ nostalgia ma un’esigenza impellente per recuperare la frattura sempre piu’ profonda tra ceti popolari e politica e dare un contributo costruttivo alla democrazia nel nostro Paese”, conclude.

Secondo un’analisi realizzata dall’Ufficio studi della Cgia e riferita al 2016, sono 4,7 milioni gli italiani che lavorano di domenica. E una buona parte di questi sarà in negozio, in fabbrica o in ufficio anche il giorno di Pasqua. Tra questi 4,7 milioni, 3,4 sono lavoratori dipendenti e gli altri 1,3 sono autonomi (artigiani, commercianti, esercenti, ambulanti, agricoltori, etc.). Se 1 lavoratore dipendente su 5 è impiegato alla domenica, i lavoratori autonomi, invece, registrano una frequenza maggiore: quasi 1 su 4 (vedi Graf. 1). Il settore dove la presenza al lavoro di domenica è più elevata è quello degli alberghi e ristoranti: i 688.300 lavoratori dipendenti coinvolti incidono sul totale degli occupati dipendenti del settore per il 68,3 per cento. Seguono il commercio (579.000 occupati pari al 29,6 per cento del totale), la Pubblica amministrazione (329.100 dipendenti pari al 25,9 per cento del totale), la sanità (686.300 pari al 23 per cento del totale) e i trasporti (215.600 pari al 22,7 per cento) (vedi Tab. 1). “Negli ultimi anni – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – il trend degli occupati di domenica è aumentato costantemente sia tra i dipendenti che tra gli autonomi. Nel settore commerciale, grazie alla liberalizzazione degli orari introdotta dal Governo Monti, una risposta alla crisi è stata quella di aumentare i giorni di apertura dei negozi. Con la grande distribuzione e gli outlet che durante tutto l’anno faticano a chiudere solo il giorno di Natale e quello di Pasqua, anche le piccolissime attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, sono state costrette a tenere aperto anche nei giorni festivi per non perdere una parte di clientela”.

L’intesa tra il governo ed i sindacati sulla previdenza “apre una nuova fase nel rapporto tra la politica ed i corpi intermedi dopo anni di ‘disintermediazione’ e di ostracismo sulla concertazione”. Lo scrive sul Gazzettino il segretario della Cisl Annamaria Furlan. La sindacalista ricorda che “era dal lontano 2007 che non concordavamo un intervento cosi’ dettagliato e corposo sulla previdenza (con uno stanziamento di ben 6 miliardi in tre anni) per un sostegno concreto ai piu’ deboli della societa’”. E’ importante aver fatto passare il concetto, rileva, “che sulle questioni pensionistiche e del lavoro, il dialogo con il sindacato e’ un valore aggiunto”. Per Furlan, “si tratta di una svolta politica, ma soprattutto culturale, un segnale in controtendenza rispetto al clima di divisioni e di rissa persistente nel Paese”. Finalmente si torna ad utilizzare un  metodo di confronto e un linguaggio “che favoriscono la coesione sociale e la partecipazione. Si coglie, in particolare, la necessita’ di una condivisone sulle scelte sociali ed economiche, piu’ volte sollecitata dal Presidente della Repubblica, Mattarella”. Il risultato, secondo il segretario della Cisl e’ che alla fine “siamo riusciti a ripristinare un criterio di equita’ ed un patto di solidarieta’, cancellando anche alcune iniquita’ assurde della riforma Fornero: in primis il concetto che non tutti i lavori sono uguali, cosi’ come non tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori sono uguali”. Restano, comunque, delle questioni aperte. “Dobbiamo continuare sulla strada del dialogo con il governo – conclude – fronteggiando nelle prossime settimane con lo stesso spirito di co-responsabilita’ le grandi questioni aperte: come favorire la crescita con interventi fiscali che sostengano la domanda aggregata e gli investimenti produttivi; aumentare l’occupazione stabile dei giovani; rinnovare subito tutti i contratti aperti ma cambiando anche il sistema e le relazioni industriali in modo da alzare sia la produttivita’ sia i salari; far partecipare i lavoratori ai processi di trasformazione, di innovazione e di qualita’ nelle aziende e nella pubblica amministrazione”.