Editoriale

Si è spento all’età di 86 anni Silvio Berlusconi, un grande imprenditore italiano, inventore del centrodestra nel Paese. Personaggio amato e odiato, di grande creatività e simpatia, anticipatore di tendenze e grande uomo del fare. Silvio Berlusconi ha caratterizzato un’epoca, testimoniando intraprendenza, slancio, coraggio, forza. Immobiliarista, costruttore, imprenditore tv, grande comunicatore, seduttore incallito, politico oltre gli schemi e sopra le righe, nemico della sinistra e del comunismo, di principi liberali e liberisti. Ma Silvio Berlusconi é stato anche il bersaglio di certa sinistra con tutto quello che le é sempre girato attorno. Il Cavaliere, come é stato sempre soprannominato, ha rappresentato nel bene e nel male l’italianità, la sua umanità, la sua generosità. E’ inimmaginabile pensarlo in un paese che non fosse il nostro, e che lo ha amato e vilipeso, apprezzato e osteggiato. In perfetto stile italico. Guelfi e ghibellini, berlusconiani o antiberlusconiani, appunto. Emerge comunque la consapevolezza che con la sua dipartita si chiuda un’epoca. E questo succede solo con le grande personalità.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dimostra ancora una volta il suo grande senso dello Stato e la sua fortissima sensibilità istituzionale. La presenza all’apertura del Festival canoro più importante del mondo assume un grande significato nella prospettiva di una unità che rimane il valore più importante per la tenuta sociale dell’Italia. Non mancano in questa congiuntura gli elementi di rischio nel segno di una frammentazione tra le varie regioni. La difficile congiuntura dovuta a incertezze nell’economia, nell’occupazione e nella produzione, legate a fattori esterni come il conflitto russo-ucraino e alla crisi energetica, il ritorno della guerra fredda tra le grandi potenze mondiali, l’euroscetticismo legato agli scandali di Bruxelles, sono tutti fattori di destabilizzazione che non lasciano presagire nulla di buono. Ebbene, in questo contesto, il primo messaggio che le istituzioni non possono che far pervenire, é quello di essere una comunità che affronterà queste emergenze nella massima unità e condivisione, nella consapevolezza di essere un grande Paese che ha risorse immense e che, nei momenti, difficili, rivela generosità e coraggio. La presenza del capo dello Stato in una manifestazione popolare come é sempre stato il festival di Sanremo, questo vuol dire: sebbene nelle differenze e nel pluralismo, nei contrasti e nelle divergenze, siamo un’unica cosa e il nostro destino non può che essere comune.

Indiscutibile l’impegno delle forze dell’Ordine e il sacrificio di quanti, per anni, hanno cercato Matteo Messina Denaro, un assassino mafioso e un capo indiscusso, per interrompere la sua lunghissima latitanza. Il suo arresto, in una clinica del capoluogo siciliano, ha il sapore del cinematografo. Un vero e proprio film, con il ‘cattivo’ che per mesi ha finto di essere una persona normale, un incensurato, un uomo qualsiasi alle prese con un brutto male. Quante leggende, quante ipotesi sono state formulate in questi decenni sulle possibili piste, sui luoghi in cui poteva trovarsi il mafioso di Castelvetrano, il Diabolik del Trapanese. Bene cosi, ovviamente. E’ un bene saperlo dentro un carcere. Ma le domande restano ed è giusto farsele perché il nostro è e rimane il paese dei misteri mai risolti. La prima: è stato sempre questo il modo di affrontare la latitanza? In questi trent’anni ha sempre vissuto con questa arrogante sfrontatezza, mimetizzandosi poco e nulla, evitando rifugi sotterranei, botole, cantine e scantinati? Ha sempre vissuto, Matteo Messina Denaro, in questo modo libero, contando sul fatto che in pochi avrebbero anche solo immaginato di trovarselo accanto, l’uomo più ricercato del Paese? E ancora, come mai nel suo ultimo rifugio non è stato trovato nulla di rilevante e di utile per risalire alle sue coperture, alle sue complicità, ai suoi sodalizi? E’ lecito pensare che, con pochi mesi di vita davanti, abbia deciso di abbassare la guardia, di consegnarsi in modo indiretto ai suoi mastini, per curarsi in modo più efficace? Possono, infine, avere diritto di cittadinanza, le ipotesi di chi, in questo arresto, vede il compimento di una trattativa? Vedremo, la cronaca e il prosieguo delle indagini daranno una risposta, ma oggi c’è solo da ringraziare gli uomini e le donne che sono stati per anni sulle sue tracce, senza dimenticare quanti hanno sacrificato la vita nella lotta al sopruso mafioso, al crimine organizzato, alla violenza della sopraffazione. Grazie e ancora grazie.

E’ spirato stamattina a Palermo un eroe palermitano. Si chiamava Biagio Conte. Era un missionario laico di 59 anni, spogliatosi di tutti i suoi averi per dedicarsi agli uomini e alle donne dimenticati da tutti, ai poveri, agli emarginati. Nel 1993 aveva fondato la Missione Speranza e Carità, luogo dove tutte queste persone avevano trovato un rifugio, ascolto, attenzioni, speranza e carità.
Da tempo era gravemente malato; attorno a lui si sono stretti fino all’ultimo i volontari e gli ospiti della comunità che aveva creato. Una vita spesa per gli ultimi quella di Biagio Conte, tra battaglie e lotte per la sua causa, per dotare la struttura di servizi e accoglienza. Lo piangono i forgotten men, i diseredati, i senza lavoro, i senza futuro a cui aveva restituito uno scopo di vita, una prospettiva, una carezza. C’é solo un modo per onorarne la memoria: dare seguito e continuità alla sua azione, al suo impegno, alle sue energie, alle sue invocazioni. Tutto il resto sarà solo passerella e ipocrisia. Speriamo bene. Grazie ‘Fratello Biagio’. Grazie da Palermo e dai suoi poveri che non ti dimenticheranno.

Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani. Queste le vittime della strage di Capaci del 23 maggio 1992. Sono passati trent’anni da quei 500 kg di tritolo che uccisero cinque persone e che dilaniarono il Paese, alle prese con una secolare guerra a Cosa Nostra. Cosa é cambiato da allora? Quanti passi in avanti sono stati compiuti? Si susseguono in queste ore i commenti e le analisi sulle trasformazioni delle mafie e sul ruolo di assoluto valore che Giovanni Falcone ebbe nell’interpretarne le dinamiche e nello scoprirne le trame e i segreti. La verità su questa tragedia ancora non la si conosce tutta. Di sicuro sappiamo che Falcone fu ucciso perché aveva capito tutto o quasi, perché aveva inferto colpi micidiali alla criminalità organizzata e che altri ne avrebbe dati. Ricordiamone allora senza strumentalizzazioni l’opera, la sagacia, il coraggio, ricordando che ebbe molti nemici, nelle istituzioni, nella magistratura, in politica. E ringraziamolo perché da allora la mafia ha perso i suoi capi e la sua potenza. E un giorno non molto lontano, forse…

Che in ogni guerra la verità fosse la prima vittima lo sappiamo da sempre. Aveva ragione Eschilo. Oggi possiamo dirlo ancora con maggiore cognizione di causa. Le attività di propaganda e di disinformazione in questo conflitto russo-ucraino non conoscono sosta perché si ha la consapevolezza che gran parte dell’esito di questa guerra dipenda da come verrà raccontata, dalla capacità di condizionamento che verrà esercitata sugli alleati più o meno palesi, dall’influenza e dalle pressioni che agiranno sull’opinione pubblica mondiale e, quindi, sui governi. Inutile negare, in tal senso, il ruolo nevralgico della tecnologia digitale nelle attuali dinamiche del conflitto, soprattutto come strumento per attacchi informatici e per amplificare gli effetti negativi dell’opera di disinformazione. Una specie di inedito cyber-conflitto dalle complesse dinamiche e dagli effetti incontrollabili. Le notizie che giungono in tempo reale dal teatro di guerra, l’impatto del virtuale sul conflitto, offrono un quadro che va interpretato ed è in questi spazi che si innesta il dibattito sulle ragioni e sui torti, sugli eccessi, le responsabilità e le colpe di un fronte sull’altro. In questo contesto proliferano, senza alcuna forma di controllo, campagne di disinformazione per quella che in molti hanno definito la prima guerra di Internet con l’avvento dell’era dei social media, proprio per evidenziare l’impatto che il virtuale sta assumendo sull’evoluzione del conflitto. Putin da una parte e Zelensky dall’altra, a contendersi i favori dei social media. In tutto questo, il controllo delle informazioni da parte del Cremlino e la chiusura di emittenti nazionali indipendenti, cosi come la sospensione dei servizi giornalistici resi dalla stampa internazionale. La libera stampa si conferma non solo come l’elemento che, più di altri, connota uno Stato, il suo livello di libertà e di democrazia, ma anche come lo strumento grazie al quale un governo può condizionare in un senso o nell’altro, il dibattito e il confronto tra i vari attori e la formazione di una pubblica opinione.

Democrazia, sicurezza internazionale, adesione ai valori di libertà e di progresso sociale. Sono gli obiettivi consolidati in due paesi, la Finlandia e la Svezia che si apprestano ad avviare le procedure utili per un loro ingresso nella Nato. Nessuna paura di Putin e di Mosca per le due donne che guidano questi due paesi: la prima é Sanna Marin, 36 anni, premier dal piglio deciso e con le idee chiare. L’obiettivo dell’adesione all’Alleanza Atlantica diventa in questi giorni ancora più strategico, soprattutto se si considera la vicinanza con Mosca e la guerra che si combatte in Ucraina proprio per definire i confini e allontanare lo spauracchio della Nato dalle mire egemoniche dello zar Vladimir. La premier finlandese tra qualche giorno presenterà al Parlamento la relazione per votare l’ingresso nell’Alleanza. Addio, quindi, alla storica neutralità per il Paese che dista dalla Russia solo 1300 chilometri. Stesso sogno nutre la Svezia guidata da un’altra donna, Magdalena Andersson, anch’essa socialdemocratica, che potrebbe entrare nella Nato negli stessi tempi della Finlandia, una terra che, lo ricordiamo, ha vinto per il quinto anno consecutivo la classifica di Paese più felice del mondo: é il World Happiness Report 2022, sponsorizzato dalle Nazioni Unite, e stilato sulla base di dati diversi come il Pil, il livello di solidarietà, la libertà individuale, la salute e il tasso di corruzione. Evidentemente, nessuna paura che un accesso nella Nato possa mutare il benessere, la pienezza di vita e la felicità cosi a duro prezzo raggiunte.

“Al crescente isolamento del Presidente Putin, dobbiamo opporre l’unità della comunità internazionale. L’Ucraina ha il diritto di essere sicura, libera, democratica. L’Italia – il Governo, il Parlamento, e tutti i cittadini – sono con voi, Presidente Zelensky”. Lo ha affermato il premier Mario Draghi, chiudendo il suo intervento in Aula alla Camera dopo le parole del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “Le sanzioni che abbiamo concordato insieme ai nostri partner europei e del G7 hanno l’obiettivo di indurre il Governo russo a cessare le ostilità e a sedersi con serietà, soprattutto con sincerità, al tavolo dei negoziati. Davanti alla Russia che ci voleva divisi, ci siamo mostrati uniti – come Unione Europea e come Alleanza Atlantica’ – ha aggiunto il premier. ‘Finora, queste sanzioni hanno colpito duramente l’economia e i mercati finanziari della Russia, e i patrimoni personali delle persone più vicine al Presidente Putin. In Italia abbiamo congelato beni per oltre ottocento milioni di euro agli oligarchi colpiti dai provvedimenti dell’Unione Europea”.

L’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe sovietiche e l’attacco militare scandito dalle bombe contro Kiev sono il frutto di una visione imperialista da parte di Putin ma anche, purtroppo, la conseguenza della debolezza della diplomazia internazionale e di quella politico-militare della Nato e della Ue. Si sta giocando una partita a scacchi e lo zar Wladimir può contare sulle paure degli Usa e sulla contraddittoria strategia dell’Unione Europea che stavolta sembra parlare una sola voce ma risulta inoffensiva e scarsamente credibile. La minaccia di sanzione economiche Putin l’aveva messa nel conto e ha attaccato l’Ucraina nella consapevolezza che sarebbero puntualmente arrivate. Evidentemente non sono bastate e non basteranno a fargli cambiare idea e piani. L’obiettivo é quello di annettere l’Ucraina e di non avere il fiato sul collo di un paese democratico e filo-Nato confinante con Mosca. Tutto il resto e relativo e variabile. I calcoli sono stati fatti e, evidentemente, i benefici sono, al momento, maggiori delle eventuali perdite. L’Unione Europea, l’Onu, gli Usa si facciano un esame di coscienza. Si interroghino su tutto ciò che é stato fatto per scongiurare una guerra ‘telefonata’, di cui si conoscevano persino i tempi e le modalità di avvio. Si chiedano di quali strumenti dispongano per invertire una rotta che sembra esiziale. Le conseguenze di questo conflitto possono essere tremende e coinvolgere tutto il mondo. Come una pandemia. Peggio di una pandemia e con molti più morti.

Non c’é mai stato un presidente della Repubblica di sesso femminile. Questo é un fatto. E’ stato un bene, é stato un male? Chi può dirlo? Oggi, alla vigilia dell’elezione del nuovo capo dello Stato, da più parti si chiede che il sostituto di Sergio Mattarella sia una donna, competente, qualificata, di grande autorevolezza e prestigio. Ritengo anche io che oggi sia il momento giusto perché ciò avvenga. Sarebbe il giusto riconoscimento per l’altra metà del cielo, per tutte quelle donne che anelano una rappresentanza – la più alta e importante della Repubblica – nella quale riconoscersi ancora di più. Ma, ciò che più conta, una donna sul colle più alto di Roma, assumerebbe il significato della legittimazione della femminilità nella rappresentanza dell’unità del Paese, della coesione sociale, della solidarietà fra le diverse parti della nazione. Una sfida culturale, una vittoria e una rivincita per tutte quelle donne che sono state penalizzate nel lavoro, nelle professioni, nella società per il solo fatto di non essere uomini. La politica, gli elettori del capo dello Stato hanno oggi una occasione storica per riconnettersi al Paese reale, per far propria la questione femminile e per elevarla al rango che merita.