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Proseguono gli scontri violenti tra i manifestanti e la polizia locale ad Hong Kong. Ha fatto il giro del mondo la foto e il video del poliziotto che spara ad un giovane corso in difesa di un suo amico appena ammanettato. E all’orizzonte non si intravede alcuna soluzione. Piccoli gruppi di indipendentisti, con la mascherina al volto, si riuniscono nei momenti più diversi della giornata per protestare. La diplomazia mondiale sta a guardare e non solo perché si tratta di una partita che non interessa e che non ricopre significato per attori terzi, ma anche e soprattutto perché nessuno vuole schierarsi contro il governo di Hong Kong e quindi, contro la potenza di Pechino. Gli Usa di Donald Trump, che qualche motivo per abbracciare la causa di Hong Kong l’avrebbero, si limitano a condannare – come ha fatto ieri la portavoce del Dipartimento di Stato, Morgan Ortagus, ‘la violenza di ogni parte’, esprimendo ‘vicinanza alle vittime, a prescindere dalle loro inclinazioni politiche’. Frasi di circostanza che mal celano la paura o il calcolo di non prendere posizione. Forse fa bene ricordare la situazione di Honk Kong che dal 1997 è una regione amministrativa speciale cinese. In poche parole, fa parte della Cina ma mantiene una sua forma di autonomia. Prima di allora, ossia dal 1842 in poi, era stata una colonia britannica, sottratta alla Cina. Oggi Hong Kong, vera potenza commerciale, cresciuta con il capitalismo liberista e con un ordinamento giuridico e legislativo improntato ai principi generali della tradizione anglosassone. Ebbene, nel 1984, proprio a Pechino, venne firmata la Dichiarazione congiunta sino-britannica, in base alla quale, i territori di Hong Kong sarebbero tornati sotto il controllo della Cina a partire dal 1997, ma a patto che il sistema economico e politico della città rimanesse invariato sino al 2047, per altri cinquant’anni. Un paese con due sistemi, che ha vissuto e continua a vivere la protesta con la famosa ‘rivoluzione degli ombrelli’, usati dai manifestanti per proteggersi dai lacrimogeni usati dalle forze dell’ordine. dal 2017, il governatore é Carrie Lam, una donna troppo vicina alla Cina. L’ultimo ‘pretesto’ di scontro tra il governo locale, filocinese e i manifestanti é l’approvazione della legge sulla estradizione, che permetterebbe alla Cina di processare e condannare chi non accetta i suoi dettami, oltre che i presunti autori di reati. La realtà è che Honk Kong non vuole diventare una provincia della Cina e, quindi, vedersi negati diritti fondamentali e libertà civili conquistate a caro prezzo. Dall’altra parte, Pechino non ha alcuna intenzione di attendere il 2047 per appropriarsi di un territorio che ritiene proprio, da sempre.

La delegazione Usa in trasferta in Cina ha chiesto a Pechino di tagliare di 200 miliardi di dollari il deficit commerciale bilaterale che caratterizza gli scambi tra i due Paesi, di ridurre le tariffe e gli aiuti alle industrie nei settori avanzati. E’ quanto si legge in un documento, rivelato dal Financial Times, che la delegazione Usa ha fatto pervenire alle autorita’ di Pechino in vista del negoziato sul commercio. Sulle tariffe la richiesta e’ che la Cina imponga dazi non maggiori di quelli stabiliti dagli Usa sulle stesse merci. Il documento invita inoltre la Cina a tagliare le sovvenzioni legate al piano di politica industriale “Made in 2025” destinato a promuovere lo sviluppo di industrie avanzate, compresi i veicoli elettrici e l’intelligenza artificiale. Il documento, fatto pervenire alle autorita’ cinesi prima dell’avvio dei negoziati, richiede anche la rimozione delle restrizioni agli investimenti che interessano le societa’ statunitensi operanti in Cina, inclusi i tetti alle quote azionarie. I 200 miliardi di dollari di riduzione del deficit commerciale degli Usa con la Cina vanno comparati con un deficit complessivo che l’anno scorso e’ stato di 337 miliardi di dollari.

“L’Italia puo’ essere protagonista in questa grande operazione a cui la Cina tiene molto: per noi e’ una grande occasione e la mia presenza qui significa quanto la riteniamo importante”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni che si trova a Pechino per il Forum ‘Belt and Road’. Per il premier, il progetto che vede il collegamento del Mar Cinese con il Mediterraneo, come una nuova ‘Via della Seta’, può vedere l’Italia protagonista: “I cinesi hanno chiarissimo che bisogna arrivare nel Mediterraneo e che la maggior possibilità per arrivarci viene dai porti, della Grecia e dell’Italia, dove abbiamo Genova, Venezia e Trieste”, ha osservato. Gentiloni ha aggiunto che “ci sono infrastrutture da realizzare insieme e grandi opportunita’ per i nostri porti nella via della seta marittima”.

Pechino torna ad avvertire gli Stati Uniti che la politica di ‘una sola Cina’ “non è negoziabile”, dopo le ultime dichiarazioni rilasciate dal presidente eletto Donald Trump, che, in un’intervista al “Wall Street Journal”, ha affermato che “tutto è negoziabile, compresa una sola Cina”. Il governo della Repubblica popolare cinese è l’unico governo legittimo che rappresenta la Cina, “fatto che è internazionalmente riconosciuto e nessuno può cambiarlo”, ha scandito il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Lu Kang, in una nota. “Invitato le parti interessate negli Stati Uniti a comprendere la grande delicatezza della questione taiwanese ed a rispettare gli impegni presi dai precedenti governi americani sulla politica di una sola Cina”, ha continuato Lu. Le tensioni tra Pechino ed il presidente eletto vanno avanti ormai da settimane, da quando, accettando una telefonata di congratulazioni della presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, è sembrato rimettere in discussione la decennale politica degli Stati Uniti, che non ha relazioni diplomatiche con l’isola che la Cina considera una provincia ‘ribelle’.

Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha avuto un colloquio telefonico con la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, che si e’ congratulata con lui per il risultato elettorale. Lo riferisce lo staff di Trump, precisando che i due leader hanno discusso di politica, economia, e sicurezza fra Stati Uniti e Taiwan. Trump e’ il primo presidente americano a parlare con la leader taiwanese dal lontano 1979, quando gli Usa hanno interrotto i rapporti diplomatici con Taiwan aderendo alla politica di “un’unica Cina”. Dal momento che Pechino considera Taiwan parte integrante del proprio territorio, e quindi uno “stato illegittimo”, la telefonata di Trump ha suscitato disappunto a livello diplomatico in Cina. Una protesta formale contro gli Usa è arrivata tramite il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang, dalla quale però si evince la fiducia nei rapporti con gli Usa. Il presidente uscente Barack Obama ha confermato da parte degli Stati Uniti i rapporti con Pechino nell’esistenza di “un’unica Cina”

E’ stato assegnato all’accademico uiguro Ilham Tohti, noto critico delle politiche etniche e religiose della Cina nella provincia dello Xinjiang, il premio Martin Ennals, definito il Nobel dei diritti umani. Professore di economia all’Università centrale per le nazionalità di Pechino e redattore del sito “Uiguri on line” (www.uighurbiz.cn), il docente è stato condannato all’ergastolo il 23 settembre 2014 per incitamento al separatismo. “Per due decenni ha incoraggiato il dialogo e la comprensione tra gli uiguri e cinesi Han”, ha detto in un comunicato la giuria composta da una dozzina di organizzazioni del settore, tra cui i Amnesty International, Human Rights Watch e la Federazione internazionale dei diritti umani. “Ha rifiutato il separatismo e violenza – si legge ancora – e ha cercato di riconciliazione basata sul rispetto per la cultura uigura, che è stata oggetto di repressione religiosa, culturale e politica nella regione autonoma uigura dello Xinjiang”.