‘I saggi sono quei libri che si leggono tenendo in mano una matita per segnare i passaggi salienti’. Non ricordo chi lo disse, ma é vero. ‘La mafia é dappertutto. Falso!’ di Costantino Visconti – editore Laterza, l’ho letto con la matita in mano, ma mi sono accorto subito che avrei dovuto sottolinearne un pò tutte le pagine e allora ho desistito. Invito a leggerlo perché le argomentazioni esposte sono il frutto di studio e analisi rigorosa e perché offrono interessanti spunti per riflettere sulla controversa materia. Ebbene, la mafia non é dappertutto ma c’é eccome. Non é in ogni fatto criminale e non é in ogni associazione a delinquere come in molti vorrebbero farci credere.
E’ un saggio, quello di Costantino Visconti, professore ordinario di Diritto Penale presso l’ateneo palermitano ed esperto tra i più autorevoli, che sfata molti luoghi comuni sulla mafia e che – in modo laico, illuminato e senza alcun pregiudizio, e quindi in modo scientifico – sfida stereotipi sul fenomeno mafioso che alcuni vedono presente dovunque, spesso per interesse o per pigrizia mentale, se non anche per conferire tragicità e interesse a fatti criminosi che, altrimenti, verrebbero declassati, ma anche per attribuire rilievo al proprio ruolo professionale. Se tutto é mafia, allora niente lo é. Affermare che tutto é mafia é un pò fare un favore alla mafia, che può districarsi meglio e sfuggire,, confondersi, mimetizzarsi nel mare magnum del malaffare indistinto e generico.
Visconti invita a usare con precisione e pertinenza il termine, anche per questo, a ‘vigilare ora più che mai per un uso controllato, addirittura parsimonioso, della parola mafia’, non fosse altro che per il fatto che occorre discernere, trovare le differenze, anche perché ‘giudica bene chi bene distingue’.
La mafia vuole passare inosservata, per continuare a gestire i suoi affari e il suo potere e, sottolinea l’autore ‘..se ci rassegniamo a dire che la mafia é dappertutto, finiremo per costruire noi stessi la gabbia inespugnabile dell’illegalità indistinta e quindi invincibile’. La criminalità organizzata viene esaminata nelle sue dinamiche con precisione scientifica, al riparo da tesi precostituite, in una congiuntura nella quale abbiamo assistito al proliferare di fenomeni discutibili, non ultimo quello del professionismo antimafia e della speculazione mediatica. ‘La sfida contro le organizzazioni mafiose é questione troppo importante, vitale – evidenzia Visconti – per il Mezzogiorno e per l’Italia tutta: non possiamo lasciarla agli arruffapopolo, agli imbonitori telegenici, ai mestieranti o, peggio, a chi ne fa un uso strumentale per fini di parte, anche laidamente personali’.
Al professore Visconti ho posto alcune domande.
Leggendo il suo saggio si ha l’impressione che Lei rivolga un invito a trattare la materia ‘mafia’ con rigore, senza scorciatoie linguistiche o slogan, proprio per combatterla meglio e averne una visione corretta. Un invito a fare uno sforzo culturale e di linguaggio. E’ cosi?
‘E’ indubbio che abbiamo assistito ad una vera e propria inflazione della parola mafia che ha portato inevitabilmente ad una sua inevitabile banalizzazione. E questo é stato un grande errore, perché se tutto é mafia niente é mafia. Se la mafia è dappertutto allora vuol dire che non è in nessun luogo. In molti, per attribuire rilevanza e credibilità a fenomeni criminali, hanno fatto impropriamente ricorso alla parola mafia e tali fenomeni sono stati ritenuti erroneamente mafiosi. In molti hanno visto la mafia anche dove, eccezionalmente, non c’era. Questo ha fatto sì che tutto apparisse mafioso e che la mafia fosse ritenuta presente anche lì dove non c’era. La realtà é che chi, come i giovani della mia generazione, hanno vissuto sulla propria pelle la tragedia della mafia, con le stragi, i morti, il sangue, non può consentirlo, anche e soprattutto per una questione di rispetto nei confronti di chi ha perso familiari, di chi ha dato la vita per combattere la mafia, di chi ha avuto vite segnate dal dolore’.
Professore, nel libro non cita espressamente il fenomeno ‘professionismo antimafia’ se non una volta, scrivendo che ‘lo sport preferito dell’antimafioso di professione é quello di denunciare il complotto dei nemici’. Lei cosa ne pensa: c’é ancora aria di cultura del sospetto?
‘Diciamo subito che il professionismo antimafia, in una prima fase era necessario, direi inevitabile: si era in emergenza, in guerra e servivano professionalità specifiche in grado di utilizzare al meglio gli strumenti e le risorse idonee a contrastare la guerra che la mafia aveva dichiarato. E i risultati di questo impegno antimafioso si sono visti perché il mito della invincibilità della mafia é caduto e questo grazie a questa azione e al sacrificio di tanti. Finita quella fase, occorreva che ognuno ritornasse al proprio ruolo e che la società civile facesse un passo indietro: compito della società civile, a mio parere, é quello di produrre pensiero critico, di sorvegliare e di osservare, di essere coscienza critica. Nella fase dell’emergenza, in quella del sangue che la mafia faceva scorrere per le strade, era inevitabile che ciò accadesse, che la lotta alla mafia diventasse ‘professionismo antimafia’ con tutte le speculazioni e le strumentalizzazioni cui abbiamo, ahimé, assistito. Purtroppo la prassi e il modus operandi del professionismo antimafia e di certi professionisti antimafia si sono poi consolidati, al di là delle sue funzioni e c’é chi vi ha lucrato, approfittandone per motivi personali che nulla avevano a che vedere con l’azione di contrasto alla mafia’.
Lei stigmatizza certo movimentismo antimafia, accusandolo di ignoranza giuridica, perché spesso confonde inchieste giornalistiche, analisi sociologiche e sfera penale. Ce ne parla?
‘La commistione confusa e disordinata di sfere di competenza non aiuta nel contrasto alla mafia. Molti si sono arrogati il diritto e la funzione di fare proclami e lanciare soluzioni, senza averne titolo e creando danni. E’ innegabile che certo movimentismo antimafia, spero in buona fede, abbia occupato spazi e funzioni che non era necessario occupare anche perché lo ha fatto senza avere consapevolezza piena delle dinamiche mafiose e della pervasività stessa della mafia’
Lei non lo dice chiaramente, ma sembra di capire che nel caso dei fatti di corruzione capitolina, nell’affaire Carminati-Buzzi e Comune di Roma, non condivida l’uso della locuzione ‘mafia capitale’. Ebbene, fu vera mafia? Il metodo era proprio quello mafioso come recita il terzo comma del 416 bis o dobbiamo attendere le sentenze?
‘Guardi, quello di aspettare le sentenze – definitive, magari! – dovrebbe essere l’unico metodo in un paese civile, mentre in Italia purtroppo c’è la gara a chi la spara più grossa anche su brandelli di intercettazioni penalmente irrilevanti. In realtà io sono rimasto sgomento non di fronte alla costruzione giuridica dell’imputazione per mafia da parte della magistratura requirente, che anzi considero ben congegnata tecnicamente tanto che ha avuto l’avallo della Cassazione, fatta salva sempre la necessità delle verifica probatoria nel processo vero e proprio, bensì rispetto all’impiego nel discorso pubblico e politico della locuzione “mafia capitale”: ad esempio, come spiego nel libro, invocare perfino lo scioglimento del Comune di Roma per condizionamento mafioso è stata una bestialità da record, giuridicamente insussistente e mediaticamente letale per la reputazione di noi tutti’.
Politica e mafia: lei tratta il concorso esterno in associazione mafiosa, fattispecie di reato controversa, delineandone i rischi ma giustificandone i presupposti. Coloro che vedono la mafia ovunque sono gli stessi per i quali tutta la politica è mafia?
‘Va sicuramente riconosciuto che l’esperienza giudiziaria nel campo dei rapporti tra mafie e politica ha costituito l’epicentro di quello scontro tra giustizialisti e garantisti che ha a lungo imperversato nel nostro Paese e ancora non ci lascia. Non tutta la magistratura è politicizzata e non tutti i politici sono amici dei mafiosi, ma c’è chi continua a sostenere l’una o l’altra tesi in modo strumentale. Se tutta la politica è mafia allora niente è mafia. Vale anche in questo ambito. Il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato che è i suoi motivi di esistere ma è innegabile che la sua applicazione, la sua individuazione, ha creato spesso equivoci e problemi. La mafia – è un fatto- ha cercato la politica e certi politici si sono fatti trovare dalla mafia, cooperando con essa. Da qui a definire mafiosa tutta la politica, soprattutto quella che è espressione di certi territori, ce ne passa’.
Populismo nel movimento antimafia: é un rischio per la vera giustizia e per una efficace azione di contrasto al crimine organizzato?
‘Nel corso del tempo il populismo ha cominciato a impadronirsi anche del movimento antimafia. Riflessione poca, semplificazione moltissima. Vogliamo combattere i rapporti mafia-politica? Allora manette a manetta per tutti’ come scrivo nel libro. Gli antimafiosi populisti hanno fatto, inconsapevolmente, un grande favore alla criminalità organizzata, perché ciò che serve a distinguere, individuare responsabilità precise, e non fare di tutta l’erba un fascio, perché questo è proprio ciò che la mafia vuole: se tutto è mafia e tutti sono mafiosi, niente è mafia e nessuno è mafioso’.
Lei cita l’espressione ‘toghe telegeniche’, non mancando di evidenziare le responsabilità di certa magistratura narcisista che indulge al protagonismo e che rischia di invadere campi che non le sono propri. Esempi?
‘Ci sono molti modi di interpretare la funzione giudiziaria e sicuramente il magistrato, soprattutto il pubblico ministero, che va alla ricerca dei riflettori e delle telecamere e che si sente investito di una missione salvifica mi terrorizza. Il magistrato non può allontanarsi, nella forma e nella sostanza, dalle doti di equilibrio, di equidistanza, di sobrietà e deve essere percepito così dai cittadini. Ecco, Le confesso che quando ho usato quell’espressione, avevo in testa Piercamillo Davigo: per quel che dice e scrive, a volte riflette un modello di giustizia penale che io stento a considerare compatibile con i valori della nostra Costituzione. Una volta, in un’intervista che fece scalpore, paragonò gli imputati alle prede per un cacciatore nella savana: se lo dicesse un mio studente mi sentirei morire perché avrei fallito come professore. Spesso lo vedo in televisione e con un certa preoccupazione riscontro in lui una spiccata attitudine alla battuta facile, alla semplificazione sloganistica, e mai un approfondimento serio sulle questioni dolorose della giustizia penale. Ora ha addirittura pubblicato un libro insieme a un suo collega che già dalla copertina è tutto un programma, visto che rivendica il “giustizialismo” come tratto caratterizzante del suo modo di vedere le cose. Se penso che ha ricoperto la carica di Presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati….’
La responsabilità dei mass media nel resoconto dei fatti di mafia: sensazionalismo, precisione, mitizzazione dei personaggi mafiosi.
‘Il ruolo della stampa e dell’informazione è di grande importanza, perché serve alla formazione di quella coscienza critica e contribuisce alla sensibilizzazione su tematiche utili alla azione di contrasto alle mafie. Ma, come tutti i poteri, ha onori e oneri: ha anche una grande responsabilità, soprattutto nel trattare argomenti come quello ‘mafioso’ che richiede competenza e precisione, evitando sensazionalismi e genericità’.
Il suo libro si conclude con un messaggio di speranza, soprattutto laddove riusciremo a coniugare – ognuno nel proprio ambito – nell’azione di contrasto alla mafia, studio e ragionamento. Un invito a non lasciarci trasportare da facili entusiasmi o da atavico e pessimista fatalismo?
‘Come ho detto prima, il mito della invincibilità della mafia non esiste più: è stato demolito dai processi celebrati in tutta Italia negli ultimi vent’anni e dai numerosi boss che scontano pene durissime senza la prospettiva di riprendersi un giorno la libertà. Abbiamo motivo per essere ottimisti ma senza che ciò comporti un abbassamento della guardia. Alla fine del libro rivolgo un invito alla speranza e al confronto, al dialogo tra le persone. I fanatismi non solo non servono a nulla ma sono dannosi. Chi la pensa in modo diverso da noi va rispettato, sempre e comunque. Occorre pensiero critico e cultura. Il diritto penale é farmaco ma anche veleno e da solo non risolve nulla: serve anche altro, e soprattutto la politica. Il diritto penale non ha funzioni pedagogiche. E’ un male necessario a cui vanno affiancati altri strumenti. Ci sono tanti motivi per essere fiduciosi e per continuare a svolgere il nostro ruolo con onestà, affidando il testimone di questo impegno ai nostri figli. E francamente rimango di stucco quando apprendo che un recente sondaggio tra gli studenti palermitani effettuato nelle scuole, ha rivelato che la maggior parte di loro considera a tutt’oggi la mafia più forte dello Stato. Le cose sono due: o il sondaggio è sballato, oppure la mia generazione ha una responsabilità gravissima. Quella, cioè, di non aver saputo raccontare il nostro recente passato che è fatto sì di terribili e indimenticabili sconfitte ma anche di una poderosa inversione di tendenza grazie alla quale oggi possiamo dire certamente che siamo più forti noi, non i mafiosi ”
Alfonso Lo Sardo