Uno dei parametri principali per valutare il grado di civiltà espresso dalla nostra classe dirigente è quello del linguaggio che usa. Contrariamente a quanto molti non addetti ai lavori potrebbero pensare, le parole pronunciate dagli uomini politici sono ‘fatti’: non nel senso che non sia necessario verificare che ad esse corrispondano ‘azioni’ politiche: leggi, proposte, iniziative, programmi, ma perché già sufficienti per giudicare il loro livello di preparazione, lo spazio politico che intendono rappresentare, i valori di cui vogliono farsi interpreti. Da un parlamentare che usa improperi e insulti, che offende con paragoni umilianti l’avversario politico, che alza il tono della voce prevaricando sull’interlocutore e che lo interrompe, che lancia anatemi e inveisce contro tutto e tutti, cosa ci possiamo attendere? Il linguaggio della politica è esso stesso politica: circoscrive, spiega, illumina, costruisce o demolisce. Il sensazionalismo di certi organi di informazione favorisce questa tendenza e lo scarso livello di molti esponenti politici, privi di esperienza e di formazione fa il resto. L’alta percentuale di inciviltà verbale presente nella politica è tra i motivi della crescente sfiducia dei cittadini. Ricominciamo a privilegiare quei politici che riescono ad argomentare il loro pensiero con competenza e passione, rispettando il parere di tutti, evitando di denigrare il collega del partito avverso o alimentando paure strumentali e quindi inesistenti. Nel negozio di un commerciante disonesto e che vende prodotti scadenti non si entra e possiamo comunicarne il motivo ai nostri conoscenti. La scheda elettorale di un politico facinoroso e irrispettoso nel suo eloquio possiamo tranquillamente evitare di barrarla e passare parola. È già molto.