“Io credo che un indipendentista possa giocare nella selezione spagnola. Noi non siamo contro la Spagna, perché un indipendentista non potrebbe giocare con la Spagna? Siamo tutti uguali, vogliamo tutti giocare e vincere”. Gerard Piqué, difensore del Barcellona e della nazionale spagnola, parla in conferenza stampa alla vigilia del match di qualificazione mondiale contro l’Albania ma, ovviamente, l’argomento è un altro. “Sono qui da 15 anni – dice – considero la nazionale una famiglia. Sono molto orgoglioso di essere nella squadra spagnola e mi fa male che qualcuno dubiti del mio impegno”. I fischi dei suoi stessi tifosi non sono nuovi, ma quelli ricevuti negli ultimi due giorni lo hanno segnato. Domenica si è recato alle urne per votare al referendum, come hanno fatto anche altri ex campioni del Barcellona, Xivi Fernandez e Carles Puyol. “Il primo giorno – aggiunge – è stato difficile perché non ti piace che le persone siano contro di te. Ricevere fischi e insulti non è bello per nessuno. Ma se me ne andassi per questo significherebbe cedere”. Insomma si può indossare la maglia della Spagna pur essendo un indipendentista catalano. “Non mi pento di quello sento. Siamo nel mondo e siamo persone. E’ impossibile che tutti la pensiamo allo stesso modo. Sono a favore del fatto che la gente possa votare sì o no o scheda bianca”, insiste Piqué. “Voglio dire a tutta la Spagna che tramite il dialogo, il rispetto e la coerenza tutto può risolversi. Sono qui perché il ct e i miei compagni vogliono che resti con loro, perché posso aiutarli a raggiungere un obiettivo che inseguiamo da un anno. Se battiamo l’Albania saremo qualificati al Mondiale”. Il difensore blaugrana dice anche di avere “rispetto” per chi non la pensa come lui, come l’altro simbolo dello sport spagnolo, Rafael Nadal. Il tennista ritiene che i catalani non abbiano il diritto di votare: “Siamo giocatori, ma prima di tutto siamo persone. Ma capisco anche quelli che non vogliono parlare della politica”. Tuttavia, sottolinea, “Spagna e Catalogna sono come padre e figlio, dove il figlio a 18 anni chiede di andare via di casa… È come se non venisse considerata la realtà della Catalogna. Potete non essere d’accordo con noi, ma la nostra opinione va rispettata. Perché noi esistiamo. Molta gente ci appoggia anche se non viene detto. La gente segue solo una comunicazione in tv, la gente non capisce cosa stiamo passando. Ho parenti e amici, la mia famiglia, lì che soffre per questa situazione”. Quanto al re e al suo messaggio, è meglio glissare: “Non l’ho ascoltato, mi stavo allenando”.