Siria

Si susseguono le notizie dell’occupazione turca e dell’eccidio curdo. Le violenze e le uccisioni sono peraltro ampiamente documentate e fanno il giro del mondo sui social media e sul web in genere. Intanto, le truppe turche hanno iniziato insieme alle milizie arabe filo-Ankara l’offensiva su Manbij, località strategica controllata dai curdi a ovest del fiume Eufrate. E sul fronte Usa? Sanzioni annunciate da Trump al governo turco e dazi su acciaio. Donald Trump che a breve firmerà un ordine esecutivo “per imporre sanzioni contro dirigenti ed ex dirigenti del governo turco e qualsiasi persona che contribuisca alle azioni destabilizzanti della Turchia nel nordest della Siria”. Saranno inoltre aumentati i dazi sull’acciaio sino al 50% e fermati i negoziati per un accordo commerciale con Ankara da 100 miliardi di dollari. Basterà? Sicuramente no. Sanzioni economiche, forse, ritiri delle truppe certi: le forze speciali americane si sono ritirate dalla loro postazione a sud di Kobane, dove si trovavano a difesa delle milizie curde dall’offensiva turca nel nord-est della Siria. Lo riferisce la Cnn turca. Erdogan comunque mostra i muscoli “Andremo fino in fondo – minaccia il tiranno – siamo determinati. Finiremo quello che abbiamo iniziato”, confermando in questo modo l’intenzione di non interrompere l’offensiva contro i curdi nel nord-est della Siria. Dall’Unione europea solo indignazione e poco più ‘L’Ue condanna l’azione militare della Turchia che mina seriamente la stabilità e la sicurezza di tutta la regione”. Si legge nel testo di conclusioni del Consiglio esteri dell’Ue sull’offensiva militare di Ankara nel nord est della Siria, in cui si sancisce anche “l’impegno degli Stati a posizioni nazionali forti rispetto alla politica di export delle armi”. Inoltre nel documento si richiede un “incontro ministeriale della Coalizione internazionale contro Daesh”. Sostanzialmente, Bruxelles sta a guardare, ma Erdogan lo sa bene.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha effettuato ieri una visita a sorpresa al contingente militare Usa di stanza in Iraq. La visita – la prima del presidente Usa a un contingente di stanza in una regione militarmente sensibile del Globo – giunge nel pieno delle polemiche per la decisione di Trump di ritirare le forze statunitensi dalla Siria. Nei giorni scorsi l’annuncio ha suscitato critiche da parte di ufficiali del Pentagono e alleati degli Usa, ed ha portato alle dimissioni del segretario della Difesa, Jim Mattis. Trump ha difeso la propria decisione durante la visita in Iraq di ieri, affermando che la decisione di lasciare la Siria evidenzia la nuova statura degli Usa sul palcoscenico globale e incarna la politica del “primato americano”. “Siamo di nuovo rispettati come paese”, ha dichiarato l’inquilino della Casa Bianca durante un discorso presso la base aerea di al Asad, circa 60 chilometri a ovest di Baghdad. L’Iraq ha proclamato la sconfitta dell’Isis all’interno del territorio nazionale nel dicembre 2017, ma la visita di Trump e’ stata tenuta segreta sino all’ultimo, come da pratica consolidata in occasione dei viaggi di presidenti Usa in aree di guerra o ad alto rischio. L’ex presidente George W Bush ha visitato l’Iraq in quattro occasioni durante la sua presidenza, e Barack Obama una.

La Turchia non sta dalla parte di alcun Paese in Siria e la sua posizione è diversa da quella di Iran, Russia e Stati Uniti. Lo ha dichiarato il vice primo ministro turco Bekir Bozdag in risposta al presidente francese Emmanel Macron, che ha di recente affermato che il sostegno della Turchia ai raid coordinati dagli Stati Uniti in Siria dimostra che il Paese ha preso ”le distanze” dalla Russia. “La nostra politica in Siria non equivale a stare con un Paese o in opposizione a un altro”, ha dichiarato Bozdag, affermando che la Turchia è disposta a collaborare con qualsiasi Paese che è favorevole a difendere ”i principi corretti” in Siria.

La situazione in Siria e la stabilizzazione dello scenario locale potrebbero essere i temi al centro dei colloqui tra i presidenti di Russia e Stati Uniti, Vladimir Putin e Donald Trump, durante il loro incontro previsto a margine del vertice della Cooperazione economica asiatico pacifica (Apec) che si terra’ in Vietnam dal 10 all’11 novembre. Ad annunciarlo è stato il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Peskov, come riportano i media nazionali, ha detto che i due presidenti hanno interesse a discutere di questioni di comune attenzione.

Sono oltre 180 milioni le persone nel mondo che non hanno accesso all’acqua potabile in paesi colpiti da conflitti, instabilita’ e violenze. Lo rende noto l’Unicef, in occasione della settimana mondiale dell’acqua (27 agosto-1 settembre). Secondo una recente analisi dell’Unicef e dell’Oms, le persone che vivono in situazioni di fragilita’ hanno una probabilita’ quattro volte maggiore di non avere acqua potabile rispetto alle popolazioni in situazioni differenti. In Siria, dove il conflitto e’ nel corso del suo settimo anno, circa 15 milioni di persone hanno bisogno di acqua sicura, fra cui si stimano 6,4 milioni di bambini.
L’acqua e’ stata spesso utilizzata come arma di guerra: solo nel 2016, ci sono stati almeno 30 tagli intenzionali alle forniture idriche – fra cui ad Aleppo, Damasco, Hama, Raqqa e Dara, con pompe distrutte e fonti d’acqua contaminate. In zone colpite dal conflitto nel nord-est della Nigeria, il 75% delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie sono state danneggiate o distrutte, lasciando 3,6 milioni di persone senza nemmeno i servizi idrici di base. In Sud Sudan, circa la meta’ dei punti d’acqua e’ stata danneggiata o distrutta. In Yemen, le reti per il rifornimento idrico che servono le citta’ piu’ grandi del paese sono a rischio a causa dei danni e del degrado causati dalla guerra.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo omologo francese Emmanuel Macron hanno discusso ieri al telefono sulla cooperazione in Siria e Iraq, ponendo anche l’attenzione alle altre principali crisi nel mondo, soprattutto in Libia, Ucraina e Venezuela. La Casa Bianca ha fatto sapere in un comunicato che i due leader hanno “esplorato come aumentare la cooperazione nella gestione delle crisi in Siria e in Iraq, e per contrastare l’influenza deleteria dell’Iran”.

“In occasione dei quattro anni dal rapimento di padre Paolo Dall’Oglio in Siria desidero far giungere la mia vicinanza e la solidarietà ai suoi familiari, così provati da una lunga e dolorosa attesa. Esprimo l’auspicio che il tempo non attenui la volontà di cercare la verità sulla sorte del padre gesuita, simbolo del dialogo tra religioni”. Lo ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dei quattro anni dal rapimento di padre Paolo Dall’Oglio in Siria. (Immagine:Corriereweb)

I negoziatori siriani del regime e dell’opposizione potrebbero incontrarsi presto per trovare una soluzione politica al conflitto che dura da oltre sei anni. E’ quanto ha riferito Staffan de Mistura, mediatore per la Siria delle Nazioni Unite, il penultimo giorno dei colloqui di pace a Ginevra. Ad una domanda dei giornalisti, sull’ipotesi che il faccia a faccia possa avvenire prima del cliclo dei prossimi negoziati nella città svizzera, previsto per fine agosto, de Mistura ha risposto “forse anche prima”.

Ieri ad Amburgo prima giornata del G20. A fare gli onori di casa la cancelliera tedesca Angela Merkel.
La prima giornata del summit e’ stata segnata soprattutto dall’incontro bilaterale tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente degli Usa Donald Trump alla presenza del segretario di Stato americano, Rex Tillerson e del ministro degli Esteri di Mosca Sergei Lavrov. Il passo in avanti piu’ importante del colloquio, durato oltre due ore, è sulla Siria con l’accordo per un cessate il fuoco nel sud-Ovest che entrera’ in vigore dal 9 luglio. Al centro dell’incontro anche la crisi in Ucraina, la lotta al terrorismo e il cyber-crime, con uno scambio di opinioni pure sulle interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali americane. Tanti i temi in agenda. Il G20, tra gli impegni, chiedera’ al Consiglio Onu “una risposta proporzionata” sulla Corea del Nord. Sul clima e il commercio le posizioni restano distanti con gli Usa, anche se si sta lavorando ad un compromesso sul comunicato finale. (GettyImages)

La ministra tedesca della Difesa, Ursula von der Leyen, si è dichiarata a favore di una missione dei caschi blu dell’Onu in Siria “con la partecipazione di tutti” una volta raggiunta la fine della guerra civile nel Paese, con l’obiettivo di stabilire una pace sostenibile. “La popolazione siriana dovrebbe essere protetta sotto l’egida delle Nazioni Unite. Solo così gli Stati, che perseguono interessi considerevolmente differenti in Siria e nella regione, saranno veramente coinvolti”, ha spiegato la ministra in un’intervista al domenicale Welt am Sonntag, sottolineando che sia la Germania che l’Europa dovrebbero partecipare alla missione, anche se prima dovrà essere trovata una soluzione politica al conflitto, per la quale sarà necessario un accordo tra Russia e Stati Uniti. Rispetto al coinvolgimento del presidente siriano, Bashar al-Assad, nell’attacco con armi chimiche che ha colpito la settimana scorsa la località di Khan Sheikhun, von der Leyen ha dichiarato che “questo è molto plausibile. Se la Russia ha dei dubbi, dovrebbe lasciare via libera a una investigazione indipendente da parte delle Nazioni Unite”.