povertà

Quindici milioni di euro dalla Regione per misure volte a contrastare la povertà in Sicilia. L’assessorato regionale della Famiglia, delle politiche sociali e del lavoro ha pubblicato tre Avvisi pubblici per l’assegnazione. In particolare, cinque milioni di euro sono stati stanziati per l’erogazione di interventi in favore di singole persone e nuclei familiari in condizioni di particolare disagio socio-economico, di marginalità e di esclusione sociale; 2,5 milioni di euro, per l’accoglienza temporanea, a carattere residenziale e semiresidenziale, di singole persone e nuclei familiari, nelle more della presa in carico da parte dei competenti servizi sociali; e 7,5 milioni di euro da destinare agli enti impegnati direttamente nell’erogazione di pasti e generi alimentari, ovvero nell’organizzazione e nella gestione di reti di raccolta e redistribuzione, a favore di singole persone e nuclei familiari. “Queste risorse – dichiara l’assessore regionale alla Famiglia e alle politiche sociali Nuccia Albano – serviranno per dare risposte concrete alle migliaia di persone che in Sicilia vivono in stato di povertà. La Regione ha messo in atto tutte le procedure amministrative per dare attuazione, attraverso questi progetti integrati, alle misure di sostegno nella consapevolezza dell’acutizzarsi del fenomeno. In Sicilia, infatti, il tasso di povertà diffusa e di degrado sociale ha raggiunto percentuali preoccupanti e sono sempre più numerose le famiglie a rischio di indigenza o di esclusione sociale, così come crescono i dati relativi all’uso di crack tra i giovanissimi e alla microcriminalità. Attraverso questi avvisi, vogliamo garantire un’abitazione, fornire un minimo sostegno alimentare a chi non ha più nulla, contrastare la devianza e la dispersione scolastica. Abbiamo il dovere di sostenere le persone in condizione di fragilità. Lasciarle sole significherebbe impoverire ancora di più la Sicilia ed abbandonarla al rischio di gravissime tensioni sociali. Cercheremo, in futuro, di stanziare maggiori risorse per gli interventi in modo di ampliare territorialmente i fruitori. Le azioni del primo avviso, a sostegno delle persone in condizione di isolamento ed esclusione sociale per un totale di 5 milioni di euro, sono rivolte ai singoli enti secondo tre linee di intervento. La prima, prevede percorsi di assistenza socio-educativi e socio-culturali, anche in funzione di orientamento, per l’accesso ai servizi sociali e socio-sanitari (compresi assistenza domiciliare e inserimento nell’ambito dei programmi di inclusione sociale) e prevede la richiesta di contributi fino a un massimo di 80 mila euro; la seconda linea di intervento comprende percorsi di contrasto alla devianza, alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, nonché di inserimento nell’ambito dei programmi di inclusione sociale già esistenti, con un importo massimo di 150 mila euro. Infine, la terza area include un intervento specifico di completamento delle misure già attive ed è rivolto, in particolare, all’individuazione di risorse sociali (famiglie e istituzioni della società civile) che possano svolgere attività di affiancamento agli enti del Terzo settore e alle famiglie destinatarie finali del supporto, anche con forme di “affido educativo a tempo definito”; anche in quest’ultimo caso può essere richiesto un importo massimo di 80 mila euro. I destinatari del secondo avviso pubblico, che ammonta a 2,5 milioni di euro, sono singole persone e nuclei familiari in condizioni di particolare disagio socio-economico, di marginalità ed esclusione sociale, anche con particolare riferimento ai casi per i quali gli interventi già previsti da altre disposizioni risultino inidonei e/o insufficienti. I beneficiari finali dovranno essere indicati dai Servizi sociali del Comune di riferimento e, in ogni caso, l’indicatore della loro situazione economica (Isee) non deve essere superiore a seimila euro. Infine, il terzo avviso, per un totale di 7,5 milioni di euro, è destinato alle misure d’intervento straordinario per i casi di indigenza, bisogno ed emergenza alimentare. Il contributo verrà assegnato ad ogni singolo ente e non potrà superare, comunque, la somma di un milione di euro. L’intervento prevede 1,5 milioni di euro in favore degli enti impegnati nell’erogazione diretta di pasti, nonché di generi alimentari, a favore di singole persone e nuclei familiari, ovvero nell’organizzazione e nella gestione di reti di raccolta e redistribuzione dei predetti generi, agli enti impegnati direttamente nell’erogazione, la cui attività è svolta in una provincia della Regione; 2 milioni di euro, in favore degli enti impegnati nell’erogazione diretta di pasti nonché di generi alimentari a favore di singole persone e nuclei familiari, ovvero nell’organizzazione e nella gestione di reti di raccolta e redistribuzione dei predetti generi, agli enti impegnati direttamente nell’erogazione la cui attività è svolta in due/tre province della Regione; infine 4 milioni di euro, in favore degli enti impegnati nell’erogazione diretta di pasti nonché di generi alimentari a favore di singole persone e nuclei familiari, ovvero nell’organizzazione e nella gestione di reti di raccolta e redistribuzione dei predetti generi, agli enti impegnati direttamente nell’erogazione la cui attività è svolta in quattro o più province della Regione.

In Italia gli “esclusi” dal benessere sono negli ultimi anni aumentati e i ceti medi hanno visto erodere la loro condizione; si è così determinata “una sempre più iniqua distribuzione che fa sì che i pochi ricchi (l’1%) siano sempre più ricchi e beneficino di buona parte dei dividendi dello sviluppo, mentre la società del 99% resta a guardare”. Emerge dall’indagine “Povertà, disuguaglianze e fragilità in Italia”, realizzata da Eurispes e Università Mercatorum. “Si può oggi parlare di una società dei ‘tre terzi'” afferma il presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara. “Un terzo – spiega – super garantito da livelli di reddito di gran lunga più elevati di quelli sperimentati nel recente passato, non solo in assoluto, ma anche se confrontati con la media e soprattutto con i redditi più bassi. Al contrario, sopravvive, a stento, il terzo degli esclusi, che non solo non si è ridotto ma che ha visto svanire la propria speranza di riscatto e confermata la condanna all’esclusione. Ma la novità degli ultimi anni è rappresentata oggi dal terzo intermedio che si colloca fra gli altri due, avendo caratteristiche distinte dagli uni e dagli altri. Non gode di particolari privilegi e raccoglie tutti coloro che pensavano che la loro capacità di lavoro, la loro professionalità ed il loro spirito di iniziativa e di intrapresa potessero essere sufficienti a mantenerli o a farli entrare nei due terzi dei fortunati. Ma essi sono diventati tutti a rischio di povertà”. Per Alberto Baldazzi, curatore dell’indagine, “i dati più recenti dimostrano che proprio in Italia gli anni della crisi hanno squilibrato, più che in altri paesi, il quadro della distribuzione della ricchezza e, conseguentemente, ampliato il rischio povertà. Esiste, dunque, una specificità tutta italiana, che ha fatto sì che le disuguaglianze si siano acuite, la qual cosa inevitabilmente contrasta l’ottimismo di chi brinda ai dati in ripresa, e introduce la macabra prospettiva di uno sviluppo senza equità”

“C’e’ un pezzo della classe dirigente di questo paese e del Pd che vive la politica come una partita a scacchi, un gioco da tavolo in una bolla completamente separata dal mondo”. Lo ha detto Nicola Fratoianni segretario nazionale di Sinistra italiana (Si) di Liberi e Uguali (Leu) intervenendo a Studio24 su Rainews. “Di fronte all’intervista di Franceschini rimango senza parole, siamo sempre lì2, ha osservato Fratoianni che ha aggiunto: “Si continua a pensare di poter uscire da questa condizione rilanciando ancora una volta il tema della riforma della Costituzione, del cambio di sistema provando a scaricare in qualche modo sull’assetto di sistema i problemi politici e sociali di questo Paese”. Ha acontinuato l’esponente di Leu: “Credo che l’unico modo per riprendere il filo rispetto a quel che sara’ di questa nuova legislatura sia partire dai contenuti, dalle risposte che si danno alla vera emergenza che e’ la poverta’, dal sostegno al reddito delle persone, da una politica di investimenti pubblici per la ripresa”.

“Rischiamo di perdere un’intera generazione”. Cosi’ Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, commenta i dati emersi dalla ricerca eseguita dal Censis per la confederazione “Millennials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?”, secondo cui 5,7 milioni di giovani rischiano di essere in situazione di poverta’ entro il 2050. Le condizioni dei giovani, precari, neet o impiegati in lavori poco pagati, “hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata. Lavoro e poverta’ – dice Gardini – sono due emergenze sulle quali chiediamo al futuro governo di impegnarsi con determinazione per un patto intergenerazionale che garantisca ai figli le stesse opportunita’ dei padri. Non sono temi di questa o di quella parte politica, ma riguardano il bene comune del paese. Sul fronte della poverta’ il Rei con un primo stanziamento di 2,1 miliardi che arrivera’ a 2,7 miliardi nel 2020 fornira’ delle prime risposte, ma dobbiamo recuperare 3 milioni di Neet e offrire condizioni di lavoro dignitoso ai 2,7 milioni di lavoratori poveri”.

Non solo misure per l’occupazione, con la decontribuzione sul lavoro dei giovani: nella prossima legge di Bilancio ci saranno anche fondi per il contrasto alla povertà. La conferma arriva dal premier, Paolo Gentiloni: “Cercheremo anche nelle prossime misure di bilancio di fare dei passi ulteriori a sostegno della povertà”, ha spiegato a margine della visita alla Cittadella della Carità ‘Santa Giacinta’ della Caritas diocesana di Roma. E ha aggiunto: “Penso che al di là di quello che può fare il governo, il messaggio che tutti dobbiamo dare è che senza impegno volontariato cattolico e laico, e anche delle imprese non c’è misura pubblica che da sola possa risolvere le questioni”.Gli ultimi dati Istat sul Pil fanno ben sperare il capo di governo, secondo cui “anche oggi ci sono buoni segnali dal punto di vista economico” e “mi auguro che questo ci consenta di proseguire sulla strada di reperire maggiori risorse”. La lotta alla povertà è uno dei temi di interesse dell’Esecutivo. Lo scorso 29 agosto il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al Reddito di inclusione: dal 1 gennaio 2018 chi ne ha diritto riceverà un beneficio economico erogato su dodici mensilità, con un importo che andrà da circa 190 euro mensili per una persona sola, fino a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti, per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi e sarà necessario che trascorrano almeno 6 mesi dall’ultima erogazione prima di poterlo richiedere nuovamente. Al centro della prossima legge di Bilancio, l’ultima della legislatura, ci saranno crescita e lavoro giovanile. Ed è su questo punto che è in atto uno scontro all’interno del Pd. L’esecutivo lavora su una decontribuzione del 50% per i primi due o tre anni per tutti i giovani assunti a tempo indeterminato e quindi una riduzione permanente dell’aliquota contributiva di quattro punti percentuali, dal 33% al 29%, due a favore del lavoratore e due a favore delle imprese. Contemporaneamente si pensa a garantire un assegno pensionistico minimo di 650-680 euro per aiutare i giovani, interamente nel sistema contributivo, che abbiano avuto carriere discontinue. Ma c’è una parte dei Dem che preme per un intervento sulle pensioni – bacino elettorale importante – bloccando l’automatismo dell’innalzamento dell’età del ritiro dal lavoro. Intervento che non convince il governo e su cui ha già chiuso le porte il presidente Inps Tito Boeri che lo ha definito “pericoloso”. “Su giovani, donne e sud bisogna ancora intervenire anche con incentivi, io dico già dalla prossima legge di bilancio”, ha confermato ieri il segretario del Pd Matteo Renzi.

“I dati sulla poverta’ contengono gia’ le soluzioni per sconfiggerla e che l’Ugl indica da anni: una vera politica dei redditi, politiche attive del lavoro e una rivoluzione del sistema fiscale con l’introduzione del quoziente familiare”. Lo dichiara il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, alla luce delle rilevazioni odierne dell’Istat, sottolineando “l’evidente e bruciante sconfitta delle politiche portate avanti fino ad oggi sia dall’Europa sia dai governi nazionali”. Per Capone “e’ paradossale per un paese civile che, nelle famiglie in cui la persona di riferimento e’ un operaio, l’incidenza della poverta’ assoluta risulti doppia (12,6%) rispetto a quella delle famiglie nel complesso (6,3%), superiore addirittura a quelle in cui la persona di riferimento si e’ ritirata dal lavoro (3,7%). A cio’ si risponde con una seria politica dei redditi, falcidiati da anni di miope lotta alla crescita dell’inflazione attraverso la moderazione salariale, tant’e’ che oggi combattiamo la deflazione, e con contratti di lavoro rinnovati alla scadenza purche’ non siano rinnovi a perdere. Servono anche investimenti nelle politiche attive del lavoro e nella politica industriale”.

“I dati pubblicati oggi ci ripetono che la forbice tra nord e sud continua ad allargarsi. Dieci anni consecutivi senza un cambio di segno sono un segnale della necessità di una stabilità politica capace di pianificare risposte strutturali”. Ad affermarlo in una nota è Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli commentando il rapporto della Cgia di Mestre che ha messo a confronto le diverse aree del Paese. “Quello che ci preoccupa maggiormente – aggiunge Rossini – sono i dati relativi all’esclusione sociale, dove il divario rischia di essere più preoccupante. Su questo argomento, già nei scorsi mesi avevamo lanciato un allarme”. Nel rapporto ‘Le Cinque Italie’ elaborato dall’Iref, l’Istituto di ricerche educative e formative che fa capo alle Acli, veniva infatti affrontato il tema dell’aumento delle diseguaglianze attraverso la distribuzione sociale e territoriale della ricchezza nel nostro Paese. Sulla base di una serie di indicatori, emergeva un’Italia divisa in cinque poli. A un polo dinamico, uno delle comunità prospere e a un terzo di territori industriosi, si aggiungevano due poli individuati proprio nel Meridione: il Sud fragile e le Province depresse. Se queste, a fronte di un lento declino o da una stasi nei principali parametri economici e sociali, conservano standard di vita non troppo lontani da quelli medi in Italia, il Sud fragile versa in una condizione di disagio profondo. Se la filiera produzione, occupazione, ricchezza, credito e investimento non funziona, allora perfino gli indicatori di civismo manifestano una speciale fragilità. “Se si intendesse proporre una politica nazionale di sviluppo – afferma Paola Vacchina, responsabile dell’Ufficio studi delle Acli – occorrerebbe individuare strumenti differenziati a seconda delle aree coinvolte. Sarebbe l’unico modo per tenere insieme un Paese così eterogeneo”.

E’ solo un modo per attirare il consenso dei poveri e degli emarginati? Cosa c’é dietro questa battuta inopportuna se non blasfema? Il comico genovese lancia un’Opa sulla povertà che in Italia aumenta. ‘siamo noi i veri francescani’. No, non é una bella operazione. Appare invece per quello che é: un tentativo sgradevole di accreditarsi presso le mense dei clochard e nei confronti di un certo mondo che ogni giorno assiste, con coraggio e abnegazione, i più sfortunati. Lo stile di vita di Beppe Grillo non somiglia neanche un pò a quello del Santo di Assisi. Basterebbe solo questo per zittirlo. Al M5S si chiede un pò di rispetto per la sofferenza e per la povertà vera. Almeno quella, nessuno la strumentalizzi a fini politici

Le rilevazioni e le analisi dell’Eurispes sul Mezzogiorno fanno emergere per il 2017 una particolare condizione di disagio economico soprattutto in Sardegna e in Sicilia e, allo stesso tempo, il perdurare, seppure con intensità minore, del gap delle altre regioni del Sud rispetto al resto dell’Italia. Sono infatti gli abitanti delle Isole a ritenere la situazione economica dell’Italia gravemente peggiorata nel 33,9% dei casi. Segue il dato delle altre regioni del Sud (26,4%) e, successivamente, con valori inferiori, le altre aree geografiche (Nord e Centro). Nelle Isole, in particolare, oltre cinque famiglie su dieci (il 54%) hanno visto diminuire nel corso dell’ultimo anno il proprio potere d’acquisto, ossia la capacità di far fronte alle spese e fare acquisti per mezzo delle proprie entrate. Nel Sud e nelle Isole, più che nelle altre aree regioni, si trova il numero più elevato di cittadini costretti ad utilizzare i propri risparmi per arrivare a fine mese, rispettivamente 59,6% e 44,9%. Sempre in Sicilia e in Sardegna 4 persone su 10 non riescono a sostenere il costo delle spese mediche né a saldare le rate del mutuo per la propria casa.Non a caso il 33,6% di chi vive al Sud e il 19,7% nelle Isole si sente povero. Inoltre, quando viene chiesto se si è a conoscenza nella propria cerchia familiare o amicale di persone che vivono in stato di indigenza, le percentuali più alte di risposta affermativa continuano a concentrarsi nelle aree meridionali e insulari, al Sud e nelle Isole, dove il 37% e il 26,7%, affermano di conoscere molte persone povere, il 39,6%, e il 40,2%, dichiarano di conoscerne alcune e il 19,1%, e il 24,4% poche; mentre si attestano a quota 4,3% e 8,7% le percentuali di coloro che invece non ne conoscono nessuna. Circa la metà degli abitanti delle Isole conoscono persone che devono rivolgersi alla Caritas, che non possono permettersi un posto dove vivere, non hanno la possibilità di curarsi né di mantenere i propri figli o farli studiare. Otto persone su dieci indicano la perdita del posto di lavoro come causa di questo impoverimento. Il 25,5% di chi vive nelle regioni del Sud e il 12,6% di quanti abitano in Sicilia o Sardegna riferiscono di conoscere persone che sono state costrette a rivolgersi ad un usuraio. Tra le strategie adottate per far fronte alle difficili condizioni economiche soprattutto al Sud (31,5%) e nelle Isole (26%) si è chiesto aiuto e sostegno alle famiglie di origine e non è mancato chi è dovuto tornare a vivere con i propri genitori o con i suoceri per necessità (14,2% nelle Isole; 11,1% al Sud). Sul piano dell’assistenza sanitaria, le testimonianze degli intervistati delineano un’Italia divisa addirittura in tre: al Nord, nonostante i casi problematici, prevale un servizio accettabile, il Centro si colloca in una posizione intermedia, nel Mezzogiorno i disagi sono estremamente frequenti. Le lunghe attese per visite ed esami sono comuni in tutto il Paese, ma se al Nord-Ovest le ha sperimentate il 49,8%, la quota tocca punte del 93,2% al Sud, e del 90% circa nelle Isole. Per gli interventi chirurgici, le attese sono state sperimentate da meno della metà dei residenti di Centro e Nord-Ovest, ma da oltre il 66% al Sud e nelle Isole. Netto il divario relativo alle condizioni delle strutture sanitarie. Le definisce fatiscenti il 18% al Nord-Ovest, il 34,5% al Nord-Est, il 46,6% al Centro, il 60% al Sud, il 69,3% nelle Isole. Una tendenza analoga è stata registrata nelle indicazioni relative a strutture igienicamente non adeguate. Gli errori medici, sperimentati al massimo nel 30% dei casi al Centro-Nord, vengono citati dal 55,3% dei residenti al Sud e dal 40,9% di chi abita nelle Isole. La peggiore offerta di servizi sanitari nelle aree del Mezzogiorno coinvolge anche la disponibilità del personale medico ed infermieristico, insoddisfacente per oltre la metà dei residenti. Questi i dati sul Mezzogiorno illustrati stamane a Palermo nel corso della presentazione del rapporto Eurispes da parte del presidente Gian Maria Fara.

La cappa della povertà continua a pesare sugli italiani, tanto che uno su quattro si sente povero e solo il 12,1% afferma di non conoscere nessuno che si trovi in una condizione di indigenza. A metterlo in evidenza è il Rapporto Italia 2017 diffuso oggi dall’Eurispes. Dai dati raccolti dall’Istituto, circa una persona su quattro afferma di sentirsi ‘abbastanza’ (21,2%) e ‘molto’ (3%) povero. L’identikit di chi denuncia la propria povertà disegnato dalla ricerca Eurispes mostra in primo piano il single (27,1%) o monogenitore (26,8%) che vive al Sud (33,6%) ed è cassaintegrato (60%) o in cerca di nuova occupazione (58,8%). La ricerca evidenzia inoltre che alla domanda ‘Conosce direttamente persone che definirebbe povere?’, il 34,6% degli italiani risponde ‘alcune’, il 20,1% risponde ‘molte’, il 33,2% risponde ‘poche’ e solo il 12,1% ‘nessuna’. Nella povertà, segnala il rapporto, si sprofonda soprattutto a causa della perdita del lavoro (76,7%), ma anche a seguito di una separazione o un divorzio (50,6%), a causa di una malattia propria o di un familiare (39,4%), della dipendenza dal gioco d’azzardo (38,7%) o della perdita di un componente della famiglia (38%). Il 25% finito in mano a usurai per avere somme altrimenti non reperibili.Dal Rapporto Italia 2017 di Eurispes, emerge ancora che il 77,2% degli italiani conosce persone che non arrivano alla fine del mese; il 61,5% persone che devono chiedere costantemente aiuto a parenti e amici; il 49% che non possono permettersi un posto dove abitare; il 48,2% che non hanno i mezzi per far studiare i propri figli; il 41,9% che non possono permettersi di curarsi; il 41,3% che non possono mantenere i propri figli; il 39,3% che devono rivolgersi alla Caritas. Le tasse non sono state abbassate per la maggioranza delle persone. Il 62,5% degli interpellati da Eurispes ritiene che la pressione fiscale sia rimasta tale e quale; il 44,6% che l’abolizione di Equitalia non avra’ effetti positivi; addirittura per il 40% la Tasi-Imu non e’ stata abolita. Sulla riduzione del canone Rai, il 51% si e’ detto convinto che sia stato diminuito, contro il 49% che ha risposto negativamente. Sulla tassazione dei terreni agricoli il 63,4% ritiene che non sia diminuita. Emerge dal Rapporto Eurispes presentato oggi.